IL CUORE DEI LUCENTI
Alla famiglia Lucenti gli rimanevano incastrate le cose addosso. Sì sì, proprio così, quando moriva un Lucenti certi uomini del paese si ritrovavano in una casa particolare, una casa che sembrava mezza diroccata e che poteva stare chiusa anche per anni ma che dentro era raggiante e sfarzosa, di uno sfarzo buio, tetro, illuminato poco dalle poche candele che balenavano nell’oscurità come in una specie di splendente crepuscolo . Si ritrovavano e tiravano fuori tutti degli attrezzi e tutti dei grossi libri e gli alambicchi e quelle lenti scure che usavano loro come monocoli e anche quei guanti che ti facevano sembrare le mani le mani di un ragno. Ai Lucenti gli rimanevano le storie dentro e gli uomini del paese sapevano come leggerle, gliele trovavano nell’intestino quando lo sbattevano su una roccia di fiume e poi nello stomaco . Buttavano un impasto sui polmoni e dalla reazione venivano fuori i ricordi e le parole e poi i sospiri e le grida che solo loro sapevano decifrare, se non le ascoltavi bene, se non riuscivi ad ascoltarle, dicevano, ti potevano perseguitare per tutta l’eternità, ogni notte nell’istante che precede il sonno le avresti sentite di nuovo in qualche angolo della stanza oppure della testa.
Il cuore era la parte più preziosa . Dicevano che dentro c’era tutto. Il cuore non lo potevano vedere tutti però, non lo potevano nemmeno toccare. C’erano certi sacerdoti e certe vestali che non parlavano mai, lo toccavano loro, lo maneggiavano con cura, lo giravano e lo lavavano, lo studiavano con attenzione. Mi ricordo che dicevano che il cuore era pericoloso leggerlo, perché era pieno di gioia e di vita e di amore ma anche di dolore e di solitudine, di solitudini e di passioni così immense che non riuscivi a vederci attraverso e ti ci perdevi per sempre. C’erano degli apprendisti che erano impazziti a provare a leggerne uno e li avevano trovati nel bosco con gli occhi che sembravano avere pianto dal giorno in cui erano nati e non gli era più riuscito di dire niente per almeno sei mesi… Un cuore di Lucenti che conteneva tutte le storie della famiglia e del paese, dentro doveva averci di tutto, giravano delle voci e delle storie, cose di intrighi e di omicidi, di amori disperati e di rancori feroci che non si erano mai spenti e che in quei cuori nuotavano come pesci o come spettri o come sciami di cose che sciamano in un qualche cielo o in un qualche abisso.
Ne vidi uno una volta a casa di mio nonno . Fu quando morì Pedro Lucenti. Me lo ricordo appoggiato sul tavolo della villa dove passavamo l’inverno, un cuore grosso e gonfio che dal rosso cominciava a diventare biancastro, me lo ricordo macchiato dalla luce, me lo ricordo immenso, come immerso in un qualche dolore o in qualche sentimento lontano, mi ricordo che lo guardai così tanto da finirmici gli occhi, dissero che l’avevo guardato troppo, perché il giorno dopo mi venne la febbre altissima e un mese dopo mi innamorai.
© Uduvicio Atanagi, 2016
BELLO, BELLO, BELLISSIMO.
SCRITTO MERAVIGLIOSAMENTE, IDEA GRANDIOSA E GENIALE.
BELLO BELLO BELLISSIMO. SONO INCANTATA E AFFASCINATA.
BRAVO, CI VORREBBERO PAROLE NUOVE PER RENDERE GIUSTIZIA A QUESTO AUTORE.
BRAVO BRAVO.