ALLA MIA AMICA DELIA CAJELLI
Alcuni incontri determinano ricordi forti, emozioni intense, odori e sapori e sorrisi e lacrime. Ho scritto di Delia cambiando il suo nome almeno cinque o sei volte nei vari blog qua e là, l’ho infilata nel romanzo “Il male dentro” e l’ho chiamata Giovanna, l’ho resa protagonista nel prossimo. Sapendo che non l’avrebbe letto.
Nessuno conosce Pirandello come Delia. La sua cultura supera senza neanche notarlo il livello dei più “intellettuali” tra i miei amici, eppure sembra non curarsene. Ha amato così tanto il teatro da fare risorgere e arrivare a comprare (lei, cui la vita non ha regalato ricchezze economiche ma ha elargito una tenacia pazzesca) il Teatro Sociale di Busto Arsizio. La osservo mentre presenta Ferzan Ozpetek al festival del 2014: dal palcoscenico sorride e mi cita, racconta che ho partecipato al film. Pochissimi lo fanno nonostante anche a Ferzan faccia piacere; c’è gente che (rosicando mica male) l’ha rimproverato quando a Milano ha parlato di me a una manifestazione che coinvolgeva una fondazione che in teoria dovrebbe includere miei amici, ma Delia è Delia e non solo non rosica ma mi ha sempre amato con una pazienza, un’apertura, una dolcezza ineguagliabili. Ha voluto aiutarmi in miliardi di modi, sentendosi sempre un po’ in debito e senza capire che non solo non esisteva debito ma provavo per lei identico bene, la stessa enorme e profonda stima che dimostrava a me. Delia è mia amica.
Ricordo la prima rappresentazione dei miei libri al Sociale di Busto. Ebbi la sensazione che un’altra – non io – avesse scritto le meraviglie che Delia e i suoi attori stavano mettendo in scena. “Ma davvero ho scritto queste cose?”. E Delia rise: “Ma cara, siamo stati letterali. Capisci? Let-te-ra-li”. Letterali, certo, ma aveva posato le sue dita creative sul tono, sui tempi e gli spazi, sull’atmosfera. E aveva reso possibile una rinascita della scrittura oltre se stessa. Mi regalò la voglia di continuare, di essere lo scrittore che non osavo sognare. E tra i suoi regali – sempre bizzarri e ricchi di un significato speciale – un Angelo di legno appeso nella mia camera da letto ammicca e mi protegge, non molla un istante. Come ha sempre fatto lei.
La notte tra il 16 e il 17 aprile, verso il mattino, qualcosa mi ha svegliato in modo brusco, violento. Ero sola a San Michele di Pagana, il regno del silenzio: come potevo essere uscita in modo così improvviso dal sonno? Poi i segni, quei segni segreti che mi dicono sempre (senza sbagliare) che qualcuno che non vedo è accanto a me e vuole attirare la mia attenzione. Crediamo nella vita oltre la morte, Delia e io: ci siamo promesse che la prima a morire andrà a salutare l’altra. Ma nonostante il risveglio notturno (non è la prima volta, anzi è abbastanza tipico: un segnale preciso che si ripete) e la certezza di una presenza accanto a me, il nome di Delia lì per lì non mi sfiora. Non voglio che mi sfiori, forse: quanto sarebbe bello se vivesse ancora trenta, quarant’anni. Basterebbe, o magari no.
Invece è lei. E’ partita per il viaggio su cui tanto abbiamo ragionato, tanto abbiamo discusso e condiviso.
Dirò altro, dirò ancora di lei. Il prossimo romanzo ne è pieno . Ma ora, per favore, per amore e per un senso comune di travolgente passione per la vita, tutti in piedi: un applauso lungo e perfetto per la mia amica Delia Cajelli.
©MariaGiovanna Luini