Angelina e noi, riflessioni di una donna che non ha voglia di giudicare
Tre, due, uno… Via! Tanto lo sapete, avete scommesso sull’argomento di questo post e non ce la faccio a deludervi; voglio soddisfare la brama di divinazione dei più e seguo obbediente le aspettative. Parliamo di Angelina Jolie, o meglio della sua libera, legittima e consapevole decisione di sottoporsi a due interventi che tecnicamente si potrebbero definire mutilazioni (lo sono) ma hanno il valore di una prevenzione.
Le decisioni di Angelina Jolie (farsi asportare le ghiandole mammarie con una mastectomia preventiva, poi le ovaie) non hanno riguardato solo il corpo e il suo rischio di sviluppare un tumore: ha deciso di raccontare a tutto il mondo con molta cura i dettagli di ciò che ha vissuto (questo aspetto non andrebbe sottovalutato: un personaggio pubblico può scegliere di tacere, e credetemi quando dico che se lo fa ha la garanzia che nessuna notizia trapelerà dai medici salvo sguaiate e rarissime eccezioni). Ha sparato urbi et orbi le notizie private suscitando – sapeva, voleva farlo – un’onda mediatica enorme.
La prima riflessione spontanea è: perché mai dovremmo entrare nel merito di una decisione personale? Ormai la vita di chi come me si occupa di salute femminile e cure oncologiche è scandita da eventi che dipendono dalle dichiarazioni pubbliche di Angelina Jolie: non serve che seguiamo i media minuto per minuto perché ogni volta che la signora Jolie racconta al mondo di essersi sottoposta a un intervento preventivo il nostro telefono squilla e un/una giornalista pone la medesima domanda. “Cosa ne pensa?”.
E’ accaduto ieri: andavo verso la sede di IEO in via San Luca per l’ambulatorio da senologa e drin, ecco il cellulare: era una simpatica e brava giornalista di Vanity Fair con cui ho chiacchierato in modo amabile per un quarto d’ora partendo da Angelina. “Cosa ha fatto questa volta?”, tra medici si dice così. Magari sei in sala operatoria, esci e noti un fermento mediatico che ti raggiunge con email, fax, chiamate e voci nei corridoi e il primo pensiero va a lei, ad Angelina che forse ha sussurrato al New York Times qualcosa per cui sarai tenuto a dire la tua. E ritorno alla riflessione di poche righe fa: perché dovremmo avere un’opinione su una decisione che una donna adulta, libera e consapevole, ha preso dopo avere pensato, atteso, valutato i pro e contro? Qualcuno si è fermato a domandarsi perché sia sempre necessario esprimere un giudizio?
Angelina Jolie come ognuna di noi ha il diritto di ricevere le informazioni più precise sul suo stato di salute, sui rischi e sulle possibili conseguenze delle manovre preventive: ha usato la propria libertà di scelta. Ha fatto benissimo, non ci sarebbe bisogno di dirlo.
Seconda riflessione. Alle dichiarazioni di Angelina seguono milioni e milioni di pareri di chi ha vissuto una situazione simile e si sente in dovere di rendere generale ciò che è e deve restare individuale: i social network sono intasati dai post di donne che hanno deciso di farsi togliere il seno e/o le ovaie e donne che invece no, non vogliono proprio saperne pure avendo la mutazione di uno dei geni incriminati (BRCA1 e BRCA2). Che un social network sia lo spazio di libertà di ognuno è opinione discutibile e troppi sembrano godere di questa finta libertà senza che a me arrivi l’idea di obiettare, ma che l’esperienza di una persona sola debba diventare prescrizione pseudo-medica dettata da chissà quale saggezza non va bene. La storia di ognuno resta la storia di ognuno, non si estendea chi – a torto, sempre – ritiene di avere condizioni fisiche e genetiche identiche.
La medicina è personalizzazione. Non esiste il modo migliore in assoluto per affrontare il problema della mutazione genetica che espone al rischio di alcuni tumori, esiste il rapporto profondo tra medici e persone; ed esiste l’apertura mentale che va messa insieme a una solida e moderna preparazione scientifica. I colloqui con le donne che hanno un rischio più alto di sviluppare tumore al seno e/o all’ovaio sono lunghi e si ripetono più volte: il senologo non è un prestatore d’opera che a richiesta esegue una mastectomia solo perché la donna lo chiede, e la medesima considerazione vale per il ginecologo se la richiesta è l’ovariectomia. La decisione nasce da un rapporto, dal dialogo, dalla valutazione attenta e dal comprendersi reciprocamente. La mia posizione è che l’intervento chirurgico preventivo (mastectomia) abbia molto senso e sia prezioso (e da eseguire senz’altro) in alcune situazioni specifiche che si rivelano grazie a visite degne di questo nome: sono visite basate sulla preparazione oncologica ma anche e soprattutto sull’amore che il medico deve provare per chi chiede il suo aiuto.
Una piccola nota a margine. A qualcuno viene in mente che Angelina Jolie abbia potuto scegliere tempo e modo, eccellenza chirurgica e medica e centri specialistici, avendo già un numero di figli in grado di soddisfare il suo istinto materno e una condizione economica che la mette al riparo da eventuali disagi logistici? Non sempre va così: ci sono donne che scoprono di avere una mutazione genetica quando ancora non hanno figli (e vorrebbero averne), non hanno un partner accanto (che assomigli a Brad Pitt o meno) e neanche i soldi per spaziare qua e là alla ricerca dei medici con maggiore esperienza ed eccellenza. Ci stiamo rendendo conto che la questione non è solo “Mi tengo le mie tette e le mie ovaie oppure no?” ma un meccanismo mediatico micidiale che ci sta facendo sentire simili a un’icona della bellezza, della ricchezza, della felicità matrimoniale che per disavventura ha una mutazione genetica e la affronta con coraggio e con un impavido sorriso? Angelina sa di avere altri rischi che non si possono evitare facendosi staccare altri pezzi di corpo, rischia altri tumori in organi diversi e lo sa, convive con questa consapevolezza; sa anche che la mastectomia preventiva non azzera il rischio di tumore al seno ma lo riduce in modo consistente. Angelina sa che da un certo punto di vista ha fatto una cosa enorme sollevando il problema con tutte le donne del mondo: le ha stimolate a porsi il dubbio, ha suggerito loro di iniziare a prendersi cura di sé con decisioni libere e consapevoli. Ma ha anche molto chiaro, secondo me, che l’impatto della sua comunicazione si trascinerà dietro un cumulo di ignoranza che tuttora affligge i ceti medi e medio-bassi di tutti i Paesi, anche i più evoluti, con una valanga di giudizi e pareri e protagonismi che non faranno altro che peggiorare lo stato della prevenzione.
Che almeno si lasci parlare chi sa, e gli altri per una volta tacciano. Utopia?
© MariaGiovanna Luini, 2015