IL ROMANZO DEL MAGISTRATO
Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.
Capitolo 16
Si risvegliò sul divano nello studio di Riccardo, con gli occhi socchiusi seguì un odore che conosceva: la pelle di un uomo, molto vicino. Spostò una mano e tastò il calore di una coperta morbida sulle spalle, intuì Giuliano che la accarezzava. Controllò la finestra, fuori era buio.
– Come stai?
Con un gesto le indicò la stanza, il caos. Sul pavimento pezzi di oggetti stracciati, calpestati, lampade rotte, carta dilaniata, macchie di inchiostro.
A fatica si raddrizzò seduta: niente era più intatto. I libri sparsi con le pagine strappate, le fotografie tolte dalle cornici e spezzate, la poltrona sventrata e soprammobili, mazze da golf, quadri, tende gettati intorno alla rinfusa. I cassetti della scrivania e gli schedari erano aperti, alcuni rovesciati. La furia che aveva devastato lo studio non aveva risparmiato le stilografiche, i tappeti, la collezione di orologi, e vetri e frammenti di metallo erano disseminati fino alla porta.
– Sono stata io. Io ho fatto questo.
– Gianna, hai parlato!
Silenzio. Formicolii in gola e stupore, e il suo volto incredulo. La stanza era devastata, la voce non aveva avuto esitazione. Come se fosse stata sempre là.
– Sei stata tu a distruggere tutto.
– Sì, sono stata io. Avrei fatto anche peggio se non mi fossi sentita male. A un certo punto mi girava la testa e mi sono mancate le forze. Ricordo perfettamente perché l’ho fatto. Non capisco che cosa sia successo alla voce, piuttosto.
Allargò le braccia e lasciò scivolare la coperta sul pavimento.
– Oggi ho avuto una specie di crisi. Per l’infedeltà, per i brutti ricordi, per un senso terribile di apnea, mi mancava l’aria. Non so, era arrivato il tempo di dare un colpo, liberarmi. Volevo cancellare i segni del passaggio di Riccardo nella mia vita. Ero furibonda, non ce la facevo più e ho voluto liberarmi.
– Balle. Questo è il peggiore casino che mi sia capitato di vedere. Me lo aspetto da Valeria, ma non da te. Sei esplosa, hai spaccato tutto e ti sei sentita male. Perché proprio oggi? Cosa è successo? Mi sembra troppo strano, guarda che roba.
– Non c’è un motivo preciso. Ero più nervosa del solito.
– Altra cazzata. Questa mattina eri tranquilla, la notte scorsa abbiamo dormito bene. Non sei il tipo da fare una cosa del genere. Gemma dice che sei imprevedibile, ma questo… Dai, su, cosa è capitato? Questa mattina sono andato via di malavoglia, si stava tanto bene. Il nervosismo è arrivato dopo, e Gemma non c’entra perché le ho mandato un sms quando ti ho trovata qui. Poi altro che nervosismo, questa è furia omicida. Cosa c’è stato?
– Sono entrata qui, avevo una rabbia pazzesca e ho iniziato a buttare i libri sul pavimento. Così, uno o due libri. Ma mi sono resa conto che più distruggevo più provavo sollievo, e ho continuato: mi faceva bene, una specie di terapia. Ora capisco perché alcuni gruppi di sostegno facciano spaccare roba ai malati di tumore. Giù tutto, la forza e il sudore mi tiravano fuori la rabbia: volevo disintegrare ogni traccia di lui, non vedevo cosa toccavo. Per esempio non ricordo di avere tolto le fotografie dalle cornici, eppure eccole là. A un certo punto mi sono venute le vertigini, non riuscivo a stare in piedi: mi sono sdraiata sul divano e svegliata con te.
Giuliano si alzò, raccolse due mazze da golf e le appoggiò a una parete.
– Le mazze sono intatte, le hai usate per fare fuori il resto. Vediamo se riesco a darti la mia versione dell’accaduto, invece. Questa sera sono andato a casa e ho passato un po’ di tempo con le bambine, ho messo a letto Elena e ho deciso di venire da te. Ero preoccupato, sentivo che qualcosa non andava perché ho trovato una chiamata anonima sul cellulare. Ho pensato che fossi tu.
– Infatti ero io.
Si rese conto tardi: la chiamata sul suo cellulare era un dettaglio anomalo, non avrebbe dovuto ammettere che fosse sua.
– Appunto. Perché mi hai telefonato? Non chiami mai. E perché la stessa chiamata è stata ricevuta da Gemma due minuti dopo? Hai chiamato me, non mi hai trovato e hai tentato con lei. Perché?
– Così, volevo parlare.
– Ed eri muta. Ottima idea, geniale.
– Non so, lasciami stare. Ormai è fatta.
– No. Fino a pochi minuti fa non parlavi. Eri muta e ci hai telefonato? Chi è venuto qui? Di chi hai avuto paura?
– Uffa. Volevo sentirti, ero in difficoltà. Ho chiamato senza riflettere e ho trovato il telefono non raggiungibile. Gemma non so, non sono stata io.
Non sono stata io. Bugie evidenti, e la flessione nella voce.
– Va bene, partiamo da un altro punto di vista e vediamo se dici la verità. Cosa hai mangiato oggi?
– Non ho mangiato. Non avevo fame.
– Chi è venuto qui?
– Nessuno.
– Le tue bugie oggi escono come i grani del rosario. Ci sono due tazze da caffè usate in cucina. Una è sporca di rossetto e tu non lo usi. Inoltre, il caso vuole che oggi mi aspettassi qualche iniziativa da parte di Valeria: ieri sera al telefono ha minacciato cose strane. Era incattivita, il colore del rossetto sulla tazza è il suo. Chiara l’ha vista uscire con una scatola, è rientrata dopo un po’. Ho una mia idea sugli avvenimenti, ti sarei grato se volessi facilitarmi le cose raccontando spontaneamente.
Non lasciava scampo: sarebbe stato un magistrato perfetto, come Riccardo. E, meglio e più di suo fratello, aveva il controllo sulle emozioni: era difficile che uscisse perdente, non abbandonava la calma.
– E’ vero, è venuta Valeria. Ha portato lettere e fotografie. Mi ha parlato della sua relazione con Riccardo e ha voluto che leggessi ciò che le scriveva. Mi ha messa di fronte all’evidenza.
– Lettere?
– Sì, tante. A giudicare dalle dimensioni della scatola che le contiene, deve averle scritto centinaia di volte durante la loro relazione. Ho visto buste, fotografie e forse alcuni regali, ma di questo non sono sicura.
– Cosa hai letto?
– Lascia perdere.
– Non mi sogno neanche di lasciare perdere. Si tratta di mia moglie e mio fratello. Cosa c’era scritto?
– Tutto ciò che la mente riesce a inventare in una relazione di amore e passione. Credo si amassero molto.
– Perché lo pensi?
– Perché ciò che ho letto è chiaro. La amava, la desiderava. Poco tempo fa si era reso conto che avrebbe voluto sposare lei e non me, o almeno così le ha scritto. Sono lettere appassionate di un uomo innamorato: Riccardo non le avrebbe scritte se non avesse provato un sentimento importante. Avresti dovuto vederle, anzi no: sono contenta che non fossi qui. E’ stato un disastro, Giuliano, veramente un disastro!
– Un amante dice tante cazzate. Ne ho dette anche io. Ti ricordi di Marta? Beh, è venuta con me in viaggio qualche volta e negli Stati Uniti c’è gente che crede che sia mia moglie. Dire stronzate fa parte del gioco tra gli amanti esattamente come chiamarsi amore e straziarsi di attesa e desiderio: qualche volta sono cose vere, ma possono essere parte della fascinazione. Si dice perché è bello, divertente, perché si fa stare bene qualcuno. Se una donna ti prende e ti fa stare bene a letto sei disposto per un po’ di tempo a lasciarti andare alle favole, ma non è la verità. E’ logico, su: scopi con qualcuno e non vuoi apparire becero, dici che ti sei innamorato e ci credi anche un po’. Ma non si va oltre.
– No, non erano bugie. Riconosco lo stile di Riccardo.
– Impossibile. Un uomo con sua moglie non è mai uguale a ciò che mostra all’amante. Solo perché le ha detto ti amo? Capirai lo sforzo. L’avrà detto a decine di altre! Lei ha voluto ferirti, ha preso qualche lettera che le ha scritto nel pieno della passione, quando voleva scoparla, e ti ha inventato una storia più grossa di quanto fosse. E non credo che desiderasse sposarla. Lo conoscevo meglio degli altri, con te è sempre stato felice, solo che.
Si interruppe, brusco. Guardò altrove. Gianna non fece domande, non serviva. Solo che con lei non c’era passione. Tranne l’ultima notte, prima che lo uccidessero. La voce di Giuliano ritornò dopo molto tempo.
– Ha scritto qualcosa su Elena?
– Niente di specifico, nelle lettere che ho visto.
– Inutile, non sei capace di mentire.
Gli voltò le spalle e andò alla finestra. Parlò in fretta.
– Va bene, ma non capisco a cosa serva. Abbiamo già tutto chiaro, no? Riccardo ha voluto un figlio da lei. Le ha scritto chiedendole un figlio. La nascita di Elena è stata desiderata, pianificata.
– E Valeria te l’ha sbattuto in faccia?
– Veramente chi ha sbattuto in faccia la cosa a tutti è stato Riccardo. Lei ha solo…
– Solo?
– Ha solo rivendicato qualcosa. La dignità, penso.
– Ma cosa stai dicendo? Mia moglie non ha dignità. E non ne aveva più neanche Riccardo.
– Perché ci hanno traditi. Lo dici per questo. Visti da altri punti di vista si sono amati. Non si fa un figlio tra due amanti se non ci si ama. E Valeria è da sola, Riccardo con quella lettera ce l’ha fatta odiare e lo sapeva.
– Gianna, ma ti rendi conto di cosa dici? Mio fratello ha avuto il coraggio della verità.
Il coraggio della verità. Dopo morto, quando l’unica a pagare sarebbe stata Valeria. La scatola enorme che aveva in braccio era il segno patetico di ciò che era stato, della fiducia che lei aveva riposto in Riccardo: aveva tenuto tutto, ci aveva creduto.
– L’ha amato, è andata a letto con lui e anche io. Abbiamo amato un uomo che è stato capace di lasciare una lettera come quella, che ha disintegrato sua moglie, suo fratello e la madre di sua figlia.
– La difendi. Non ci posso credere.
– No, ma non posso fare a meno di pensare che stiamo lottando contro una verità che ci va storta. Si amavano e hanno voluto un figlio, che ci piaccia o no. Quando tua moglie è entrata in camera mia, appena dopo l’attentato, si è precipitata a mettere a posto le lenzuola con un fare che mi ha colpita anche se ero in uno stato orribile. Era come se volesse nascondere a se stessa che avevo dormito là con Riccardo e…
– E?
– E niente, solo questo. Coprire, sai, non vedere. Sono cose che forse ho intuito perché sono donna come lei. Poi ha messo il libro sul comodino nell’esatto modo, proprio come lo metteva lui.
– Obliquo?
– Come fai a saperlo?
– Perché lo mette così, è il suo modo e non quello di Riccardo.
– Anche Riccardo faceva così, sempre.
– Ma che tenerezza.
Il livore acido di Giuliano la costrinse a chiudere gli occhi, quando li riaprì notò intorno a loro un’opacità inquietante e la sensazione quasi carnale di una presenza estranea. Non erano soli.
– Riccardo, sei tu?
Le sembrò che nessuno rispondesse alla domanda uscita dalla sua mente, ma qualcuno c’era.
Non riusciva a scorgere il cancello. Fu allora che sentì le lacrime. Aveva il volto bagnato, scendevano rapide e grosse. I singhiozzi le incespicarono in gola. Portò le mani al volto per cercare di recuperare il controllo ma il pianto esplose come la furia di poche ore prima. E Giuliano si avvicinò alle sue spalle.
– Gianna.
Anche lui piangeva. Si lasciò circondare dalle sue braccia.
– Elena è sua figlia, non è la mia bambina. Avrei dovuto saperlo.
Non ascoltò più. Sfuggì all’abbraccio e cadde, rannicchiata. Giuliano non si mosse: si appoggiò allo stipite della finestra. Poi l’urlo uscì inconsapevole, era il corpo a urlare: straziata, incapace di reagire, poteva solo urlare con tutta la forza che le rimaneva. Gridava il nome del marito mentre tutto era buio. Giuliano la osservava, muto.
© MariaGiovanna Luini, 2016