IL ROMANZO DEL MAGISTRATO
Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.
Capitolo 11
Distese le gambe sotto la scrivania e cercò una penna per firmare i documenti che la segretaria gli aveva appoggiato davanti.
– Tra un’ora incontrerà il magistrato. Nel pomeriggio avrà una riunione in fondazione, i documenti sono nella busta bianca.
Ringraziò e con un gesto la congedò. Al margine dello sguardo notò una fotografia, era lì da sempre ma solo in quel momento lo colpiva: Valeria sorrideva, stringeva a sé le bambine. Con un dito accarezzò il volto di Chiara e Elena, poi scrutò gli occhi della moglie. Avevano costruito una famiglia e non la conosceva. L’aveva amata, si erano sposati dopo un anno e mezzo di fidanzamento, era rapito da lei: la sua sensualità non aveva paragoni, l’aveva avvolto in una rete di desiderio che per molto tempo era bastata a tenere in piedi il legame nonostante le enormi differenze nelle loro personalità.
– Non scommetterei su di noi, siamo improbabili. Però OK, ci sto.
Più lungimirante di lui, aveva risposto così quando aveva accettato di sposarlo.La nascita di Chiara era stata la loro apoteosi, la felicità, poi Valeria si era stancata: era successo quando Chiara aveva quattro o cinque anni. L’aveva tradito, preoccupandosi sempre meno di nascondere le relazioni con altri uomini: l’aveva accusato di esserne la causa, con l’assenza e la freddezza che lei non riusciva a tollerare. Lo giudicava noioso ed egoista, incapace di amare. L’erotismo non era sufficiente, non si sentiva amata e non riusciva più a ridere; forse in realtà non aveva mai riso, insieme a lui. Non era stato capace di cogliere il problema vero: credeva di essere rimasto lo stesso, le aveva garantito il benessere che avevano sognato. Lui era stato lento a tradire, poi un incontro occasionale con una bellissima norvegese aveva fatto sì che la fedeltà ostinata fosse interrotta. Aveva iniziato a frequentare qualche amica senza eccessivo impegno, in modo discontinuo. Le amiche – le chiamava così – erano distrazioni lievi, nessuna aveva la sensualità di Valeria. Con il senso della sfida a eccitarlo, cercò nell’agenda un numero di telefono: Marta rispose al primo squillo.
– Ciao, sono Giuliano. Come stai?
– Giuliano, che sorpresa! Tu come stai? Ho saputo di tuo fratello, che tragedia!
– Sì, è un periodo complicato. Non mi va di parlarne. Tu cosa fai? E’ un po’ che non ci sentiamo.
– Ho molto lavoro in laboratorio, ma sto bene. Sono stata in giro per congressi. E tu?
– Riprendo la mia vita, per quanto possibile. Ho avuto una serie di problemi più o meno legati alla disgrazia di Riccardo, puoi immaginare. Tento di mettere insieme tutto. Sto per partire per gli Stati Uniti. Pochi giorni, come sempre.
– Vuoi compagnia?
Rise. Marta andava dritta al punto.
– Potrebbe essere un’idea. Non ti vedo da un po’.
– Certo, non mi hai più chiamata! Trovarti è impossibile con quel cerbero antipatico di segretaria. Almeno avessi il tuo numero di cellulare!
– Uso pochissimo il cellulare, il numero non ti sarebbe utile.
– Lascia giudicare a me: in realtà hai paura che ti chiami o ti mandi sms quando sei con tua moglie, vero?
– Ma no, è che non sono un uomo da cellulare.
– Allora mi porti negli Stati Uniti?
Non sarebbe stata la prima volta, l’idea era gradevole ma non era sicuro. La sua presenza l’avrebbe obbligato a comportarsi in un certo modo: avrebbe dovuto essere gentile, paziente, appassionato. Non ne aveva voglia.
– Non so. Mi intriga il pensiero di un viaggio con te. Ma non sono socievole, ultimamente, rischieremmo di litigare. No, lasciamo stare. La morte di mio fratello mi rende instabile, non sarei una grande compagnia. E ho molto da fare, anche.
– Forse hai proprio bisogno di compagnia, allora. Per distrarti!
– Ah, sono certo che sapresti distrarmi.
– Dai, portami con te.
– Grazie, sarebbe un viaggio piacevole ma preferisco andare solo. Più avanti vedremo, è già successo e ci siamo divertiti. Chissà. Sarà per un’altra volta, scusa se ho chiamato.
– Pazienza. Conto su un altro invito allora. A presto!
Salutò, chiuse la comunicazione e controllò l’orologio: si stava facendo tardi, doveva incontrare il magistrato. Sistemò la giacca, verificò di avere portafogli e documenti e uscì.
Il magistrato lo fece accomodare subito e fu cortese.
– Dottor Conti, mi chiamo Alessandro Forti. La ringrazio di essere venuto, apprezzo la sua disponibilità.
– Mi sembra il minimo. Posso chiederle se ci sono notizie?
– Non ho ancora elementi particolari. Le indagini e le perquisizioni portano a confermare che si tratta di criminalità organizzata, tuttavia abbiamo bisogno di più tempo. Vorrei che rispondesse ad alcune domande.
Annuì e si preparò ad ascoltare. Gli occhi di Forti seguivano ogni movimento: mobili, lucidi, sorridevano a metà e lo osservavano dietro le lenti piccole degli occhiali da lettura.
– Ha già raccontato ai carabinieri cosa fece quella mattina. Non sappiamo cosa successe a casa del giudice perché la signora Conti non ha ancora superato il trauma e non parla. Lei ha maggiori elementi da sua cognata? Ha potuto avere spiegazioni?
– No. Non ho avuto dettagli.
– Ha motivi per pensare che il mutismo sia volontario?
– No.
– Ha motivi per pensare che si tratti di un trauma simulato?
– Assolutamente no.
– Esistevano motivi di attrito tra suo fratello e la moglie?
Alzò le spalle.
– Credo che esistessero i normali motivi di attrito di quasi tutte le coppie. Erano piuttosto sereni, molto affettuosi. Riccardo adorava Gianna ed era ricambiato. Mio fratello non era fedele e lei lo sapeva, questo era il maggiore motivo di crisi. Gianna da qualche tempo aveva capito che per Riccardo l’infedeltà era un fatto istintivo: soffriva ma accettava l’idea che le fosse infedele. Credo fosse un matrimonio con molto amore ma senza passione.
Forti annuì.
– Abbiamo visto che il giudice Conti aveva avuto diverse relazioni extraconiugali. Era comunque cosa nota nell’ambiente giudiziario. Siamo pettegoli come gli altri, sa. Il giudice Conti aveva fascino ed era sensibile alle belle donne. Lei ne era a conoscenza?
– Ovvio, conoscevo lui come lui conosceva me. Sempre stato fortunato con le donne, anche da ragazzo. Piaceva perché era simpatico, travolgeva. Ed è rimasto così. Era infedele, quel fare da mezza canaglia impenitente, per niente intenzionato a cambiare.
– E sua cognata?
– Soffriva. C’erano liti. E’ normale.
– Ha un ottimo rapporto con lei.
Si limitò ad annuire.
– Quindi sua cognata le confidava spesso particolari che riguardavano la propria vita matrimoniale o suo fratello a vario titolo.
– Non ho detto questo, Gianna non è una persona aperta: se devo immaginare un chirurgo donna immagino lei. Apparentemente fragile, di fatto molto forte: quando parla sembra aperta ma se analizzi le parole scopri che non ti ha detto niente di veramente intimo. Di solito sono io a parlare con lei, e lei ascolta. Intuisce, ha un senso in più rispetto alle persone normali, una specie di radar. Sente, conosce, ti legge dentro. Mi trovo bene, le racconto tanto di me e il contrario capita molto meno. Quando mi confidava qualcosa significava che aveva raggiunto una situazione di profonda crisi e sbottava. L’infedeltà di Riccardo era il motivo più frequente ma, d’altra parte, che fosse fatto così era chiaro prima che si sposassero.
– E’ a conoscenza di persone che avrebbero voluto attentare alla vita di suo fratello?
– A parte la mafia, intende?
– A parte la mafia, sì.
– No. E comunque non parlava mai del suo lavoro. In famiglia sapevamo molte più cose dai giornali: ritornava a casa e non accennava a niente che riguardasse la professione. Avrebbe potuto essere un medico, un imprenditore o qualsiasi altra cosa: non ci diceva niente.
– Lo immagino. Se anche avesse parlato avrebbe aggiunto qualcosa come: “Se mi capita qualcosa taci, non fidarti di nessuno e fingi di niente; se ti interrogano di’ che a casa non parlavo del mio lavoro”. Suppongo.
– Suppone bene. Riccardo non parlava di lavoro a casa, nessuno di noi sa niente. Zero. Questo vale per me, per mia moglie e mia figlia Chiara e varrà per Gianna quando riprenderà a parlare.
Si rese conto di avere alzato la voce. Strinse i pugni, inspirò e fece un gesto di scuse. Nonostante la gentilezza di Forti non poteva fare a meno di sentirsi a disagio. E il senso della morte di Riccardo era tremendo, come in un obitorio.
– Sa qualcosa della salute di suo fratello?
La domanda lo sconcertò. Non seppe cosa dire.
– Suo fratello stava bene? Le aveva parlato di qualche problema di salute? Aveva fatto esami di controllo nell’ultimo periodo?
Ripassò nella memoria gli ultimi mesi della vita di Riccardo: non c’erano episodi particolari, se non una lieve bronchite.
– Aveva avuto un po’ di tosse, forse una leggera bronchite, ma penso che tutto si fosse risolto. Gianna non mi aveva parlato di malattie serie.
– Sua cognata era il medico di riferimento per il giudice Conti?
– Mia cognata era il suo riferimento per molte cose, anche per la salute.
– La signora Conti non le ha mai accennato a visite di controllo alle quali suo fratello si era sottoposto?
Gianna non aveva parlato di controlli o pericoli per la salute di Riccardo, era sicuro: se ci fossero stati segni di malattia si sarebbe accorta subito, era un medico eccellente e le era capitato di fare diagnosi quasi inspiegabili. Raccontò a Forti, che lo seguì senza interromperlo, che una volta Gianna aveva diagnosticato un tumore a una donna che aveva tutti gli esami a posto. Ed erano esami giusti, fatti bene. L’aveva visitata, poi l’aveva bloccata sulla porta appena prima che se ne andasse: una sensazione le aveva suggerito di approfondire. Infatti la donna era malata. “Non mi piace, ha qualcosa che non va”: osservava la gente e coglieva il malessere da segni impercettibili, dalla postura, dal colore, dal modo di camminare. Lo sapevano anche in ospedale, era fatta così. Se Riccardo avesse avuto un problema sarebbe stata la prima a vederlo. Ma perché le domande sulla salute di Riccardo? Cosa c’entrava questo con l’attentato? Forti eluse la domanda.
– Suo fratello e la moglie non avevano avuto figli. Conosce il motivo?
– Sì. Cioè no, veramente. So che Gianna ha fatto esami e non è sterile, eppure qualcosa non ha mai funzionato. Non riesce a concepire figli, intendo.
– Suo fratello cosa pensava di questo?
– Era dispiaciuto, ma non trovava che fosse un motivo per lasciarla. A suo modo era felice con lei.
– Quanti telecomandi esistono per il cancello della casa di suo fratello?
– Quattro.
– Ne è sicuro?
– Sicurissimo. Uno ce l’ho io, gli altri sono di Riccardo, della scorta e di Gianna.
Si chiese chi avesse preso il telecomando della scorta: doveva essere stato sequestrato. Non domandò. Gli occhi di Forti erano fermi su di lui, voleva intuire i dettagli nascosti, ciò che non aveva voglia di raccontare. Estrasse un piccolo oggetto nero dalla tasca della giacca, lo appoggiò al ripiano della scrivania.
– Eccolo.
Il magistrato non lo prese. Ringraziò e gli fece cenno di riporlo in tasca.
– Possiede anche le chiavi?
– Sì, me le diede mio fratello. Anche lui aveva le chiavi di casa mia.
– Ha usato spesso telecomando e chiavi prima dell’attentato?
– Qualche volta. Non ricordo esattamente quando. Andavo a controllare la casa se erano in viaggio, oppure andavo da Gianna in assenza di Riccardo e non avevo voglia di aspettare fuori dal cancello.
– Quindi lei vedeva sua cognata anche in assenza di suo fratello.
– Sì, beh… Qualche volta, tanto per salutare. Sa, per vedere come stava. Gianna ogni tanto si perde in un mondo di astrazione solo suo: è un chirurgo quindi automaticamente si pensa di lei che sia iper-razionale, ma non è così. Se si siede a leggere un romanzo che le piace addio, oppure passeggia per ore e si perde. Usavo il mio telecomando perché dal suo studio non si sente il citofono.
– Capisco. Quindi è sicuro che i telecomandi fossero quattro.
– Ne sono certo. Una volta Gianna pensò di averlo perso, ma lo ritrovò dopo qualche giorno. Il sistema di apertura del cancello è sofisticato e Riccardo disse che se non fosse stato ritrovato sarebbe stato un problema chiederne un duplicato.
– Solo un’ultima domanda. Che lei sappia sua cognata ha mai tradito il marito?
Istintivamente sorrise.
– Non metto la mano sul fuoco per nessuno, ma non credo. Non posso esserne sicuro ma non ho mai avuto motivo di pensare che Gianna avesse relazioni extraconiugali anche occasionali. Anzi, ho sempre avuto l’impressione che reagisse all’infedeltà di Riccardo con una devozione cieca, nonostante le liti e le crisi. L’ho criticata per questo.
– In che senso?
– Riccardo aveva bisogno di stimoli, anche negativi. Gianna lo amava e gli concedeva tutto. Piangeva, si arrabbiava quando scopriva un tradimento, poi perdonava e ritornava a rendergli la vita un paradiso se capisce cosa intendo. Avrebbe dovuto suscitare maggiore gelosia, maggiore interesse. Essere più femmina.
Si bloccò: esagerava, andava fuori tema. Il magistrato controllò l’orologio: parlavano da due ore. Gli sorrise, tese la mano.
– Dottor Conti, la ringrazio di cuore per la collaborazione. Le prometto che appena avremo certezze le comunicheremo anche a voi.
– Non può proprio dirmi niente sull’autopsia?
– Le prometto che saprà tutto quando sarà possibile.
© MariaGiovanna Luini, 2015