QUASI UN VOLO
E uno.
Non ho neanche osservato il cielo. Non mi sono chiesta se fosse limpido o tormentato, se ci fossero nuvole. E’ tardi, adesso: nella stiva il mio bagaglio giace tra decine di altri, incartato nel cellophane e con una targhetta azzurra che chissà dove ho recuperato, sulla spalla pesa una borsa (la prima che ho trovato aprendo l’armadio accecata dalle lacrime) con i documenti e un libro e le pillole per dormire, in mano ho la carta per l’imbarco. E c’è gente che preme perché mi sbrighi. Inutile che alzi gli occhi adesso per chiedermi se il volo sarà tranquillo: salgo in aereo e basta, sarà quello che deve essere.
E due.
Non sono sicura di avere avvisato tutti. Ma poi chi c’è da avvisare? Il mio studio ha una segretaria che gestisce le visite con la maestria di un prestigiatore, l’editore sa come recuperarmi ed è abituato alle follie degli scrittori, la mia famiglia si porrà il problema tra una decina di giorni e non prima, Claudia… A lei non importerà, anzi la libero: soffrirà per qualche giorno poi inizierà a respirare meglio, potrà adagiarsi di nuovo nella quotidianità con Luciana e si dirà che in fondo non è così male. Piano, troverà pretesti per spiegare a se stessa la scelta di restare là e anzi si sentirà felice: avrà la sensazione di un pericolo scampato e nelle sere molli con una coperta di lana sulle ginocchia dopo un po’ di erotismo che fingerà di trovare eccitante mediterà su quanto abbia guadagnato nella tutela del focolare. E’ la potenza del passato: la felicità defunta sembra rinascere quando dobbiamo mettere coraggio per scegliere una strada nuova. Quando la noia la raggelerà e le stringerà la gola non farà fatica a trovare un’altra me, è la storia di tutti i legami come il suo. Oltretutto non sa dove vado, anche volendo non potrebbe presentarsi con un mazzo di rose rosse implorandomi di cambiare idea.
E tre.
Chissà perché ho scelto proprio il Messico: non conosco nessuno là. Forse è stato il vuoto ad attrarmi. Non ho patria, non ho casa, non ho amore. L’amore ce l’avevo, il più importante della mia vita, ma come sempre ho scelto un obiettivo per niente realistico e adesso mi resta solo il Messico. Il Messico cioè l’unico nulla che possa accogliermi e divorarmi il tanto che basta per farmi rinascere, l’unico luogo privo di ricordi di affetto di dolore e gioia e di attrattiva. Perché in effetti di andare in Messico non mi è mai fregato niente, a dire la verità.
E quattro.
Ci vorrà tempo. Sarà il sesso a mancare di più, e tutte le consuetudini piccole che ci hanno tenute insieme. Il sesso, quel suo divorarmi e il mio nutrirmi di lei, il bisogno di infilarmi nel suo corpo e che lei fosse nel mio. Il piacere cristallino torbido innamorato esplosivo tenerissimo. Il bisogno dei corpi come delle anime. Quel desiderio non è mai passato, e dire che abbiamo tentato di massacrarlo in tutti i modi quando abbiamo capito che non saremmo diventate una coppia vera: l’amore erotico ha resistito, è spuntato fuori ogni volta più forte e dispettoso e gagliardo. Ma non basta il sesso, sono tanti a dirlo: fior di specialisti dell’amore perfetto. Non basta un erotismo dall’alchimia rara, non può bastare. Ecco perché Claudia resta dov’è e io sto partendo per un cazzo di nulla al di là dell’Oceano.
Il sesso pazzesco non basta, no. Erotismo non è amore, o forse sì, ma le bollette le prospettive i piani di accantonamento e l’abitudine di cucinare una volta per uno e quella passione spenta che ci si illude di rinvigorire vincono sempre. E’ una regola dell’Universo: sposati e amerai le catene che tu stessa ti sei ficcata al collo; terrai quelle catene con una tale protervia che le odierai fino ad averne un bisogno spudorato.
E cinque.
Spero che Germano abbia pazienza con i gatti. Non gli costa granché, adesso che parto quando litiga con la moglie ha le chiavi e può dormire nel mio letto, mangiare ciò che ho lasciato, scopare con l’amante: che almeno si occupi di Birillo e Mattia. Gli ho puntato addosso le videocamere che si comandano con il cellulare ma non so se in Messico sia così facile connettersi con la casa. Comunque se li fa soffrire lo ammazzo, quei gatti sono la mia famiglia vera.
Quando Claudia fingerà di passare per caso davanti a casa mia sarà Germano a tradirmi, è fatto così: non vede l’ora di raccontarle che sono scappata, infiocchettando la notizia con qualche sua creazione del momento. Tipo che ha scorto due biglietti invece di uno, e forse la mia è una fuga d’amore. Tipico di Germano: quando vede Claudia deve farle sentire un legame speciale con me, come se fossero in competizione.
E sei.
Non sto male. In fondo è meglio così. Qualche giorno spaesata e senza cellulare e rinasco. Sarà così, il sesso si cancella in un attimo. Mi preoccupo troppo e il dolore non mi fa paura, passerà. Magari là trovo una bellissima messicana che si innamora di me, e addio incubi e paturnie.
E sette.
Ci sono. La hostess sorride, beata lei. Ho un posto in fila C, chissà se…
“Carlotta”.
Mi fermo. La hostess scruta qualcosa alle mie spalle, in basso.
“Carlotta”.
Non mi volto, spingo per entrare. La hostess mi ferma.
“Signora, chiamano lei?”.
Il tempo che impiego per guardare fa imbestialire un uomo alto con un’orrenda maglia di spugna a collo alto.
“Signora, che cazzo vogliamo fare?”.
Mi sposto, lo lascio passare. Puzza di sudore, spero non abbia un posto vicino al mio. In bilico sulla scaletta, è come se l’alito caldo di Claudia mi accarezzasse intriso di spilli ghiacciati.
“Carlotta, scendi subito dall’aereo. Tu hai paura di volare”.
Non voglio il suo viso: se la guardo non parto più. Se la guardo scoppio a piangere, vomito qui davanti a tutti, mi metto a tremare.
“Scendi, amore. Ti prego”.
Sei scalini, cinque, quattro, tre, due, uno. L’asfalto. Alzo gli occhi: il cielo è blu puro, senza nuvole, non avrei incontrato turbolenza.
Prende la mia mano.
“Ora toglieranno il tuo bagaglio, andiamo a casa”.
Sento voci, c’è gente arrabbiata e Claudia sorride: non le importa. Si china su di me, cerca il mio bacio ma sa che non la bacerò mai in pubblico. Sa che detesto l’idea che qualcuno ci veda mentre ci baciamo. Lo sa.
Penso a questo mentre apro le labbra sulle sue e cerco la sua lingua.
© MariaGiovanna Luini, 2015