L’irruzione in scena di Treplev “col fucile e un gabbiano ucciso” interrompe i pensieri a voce alta di Nina.
Treplev: […] ho commesso oggi la vita di uccidere questo gabbiano. Lo depongo ai tuoi piedi.
Nina: Che hai? (Alza il gabbiano e lo guarda)
Treplev (dopo una pausa): Allo stesso modo ucciderò presto me stesso.
La natura aggressiva di Treplev è palesata dal suo rapporto con le armi. Questa è la prima apparizione con un’arma, cui seguirà tra il secondo e terzo atto l’uso di un’arma per tentare di uccidersi, la successiva minaccia di uso di un’arma quando sfiderà Trigorin a duello, ed infine il colpo di rivoltella che si sente fuori scena e con il quale Treplev si toglie la vita. Egli, dunque, spara per ben tre volte. Del resto, l’uso delle armi è in perfetto accordo con l’etimo del suo nome, il verbo trepl in russo è un sinonimo del verbo gubit’, uccidere. Lo skopos di Treplev è ora quello di incidere sul télos della natura per interromperne il suo movimento inarrestabile, che l’immagine del gabbiano simboleggia nel volo. Treplev interrompe il volo degli uccelli e se consideriamo che presso gli antichi greci l’osservazione del volo degli uccelli era una delle tecniche adottate dagli aruspici per l’interpretazione del destino, possiamo comprendere che in realtà egli desidera interrompere il volo del destino. Treplev ha compreso che Nina è attratta da Trigorin. Il suo destino è dunque segnato dalla perdita dell’amore. Nina si era detta attratta dal lago “come un gabbiano”, e allora, prima che il gabbiano venga sospinto lontano dal lago dai venti della tempesta che Trigorin simboleggia, Treplev lo uccide e promette che così farà con se stesso.
Ne Il gabbiano di Cechov la “special providence in fall of a sparrow“, di cui Shakespeare parla nell’Amleto, la speciale provvidenza nella caduta di un passero, è diventata l’atto intenzionale e di matrice umana di uccidere un gabbiano. Manca dunque ne Il gabbiano “a divinity that shapes our ends“, quella “divinità che dia forma ai nostri propositi”, qualunque sia il profilo che ne sbozziamo noi. Treplev vuole sostituirsi a Dio e al destino, rappresenta in se solo ciò che è importante ed eterno, secondo il consiglio del medico Dorn, ma senza lo strumento del teatro, senza il contrappeso della scena che egli sembra aver abbandonato, le cose importanti ed eterne diventano mistificazioni, psicosi di una mente turbata. Treplev si illude di creare il proprio futuro con le proprie azioni, di esserne l’artefice unico e di indirizzare il destino di Nina, ma egli non è – e non può essere – quella divinità di cui Shakespeare parla ispirato dal Vangelo di Matteo. Cechov vede nell’azione di Treplev contro il destino, contro la natura, un delitto che lo proietta in un futuro ulteriore, il suo skopos tende verso éschaton. Ma che cosa significa éschaton? L’aggettivo éschaton è una forma superlativa da ek, ex, e indica colui che si trova fuori, il più lontano di tutti. Di conseguenza l’ultimo, l’estremo, il più remoto. Eschaton è dunque la fine dello spazio e del tempo nel senso dell’estrema ultimità. È fuori dalla portata dell’uomo, è un tempo che non giace più nelle mani progettuali di Treplev che hanno abbandonato la penna per il fucile. Il delitto contra naturam spinge Treplev verso un delirio di onnipotenza, infatti se la volontà che vuole è onnipotente, lo skopos raggiunge i confini della natura, determinandone il fine estremo, il destino ultimo: allora skopos, coincide con éschaton, con la volontà di Dio, il tempo del mondo considerato dal punto di vista di Dio: “presto ucciderò me stesso”. Treplev compie il suo delitto dal punto di vista di Dio, sopra le cose, ancora più in alto dell’epistemica visione prometeica di Dorn. L’azione di Kostja che con il suo fucile si sostituisce a Dio, al destino, determina il definitivo compimento del télos, la morte del gabbiano, simbolo della natura e determinerà anche la fine della sua stessa natura.
©Matteo Tarasco