Il padre guardò davanti a sé. Alberi d’acero dalle foglie verdi incorniciavano uno spiazzo erboso puntellato di gardenie, di orchidee dalle venature simmetriche, di rose rosse avvolte attorno a un cancello di ferro. Piccole macchie volanti – farfalle dalle ali blu e viola – danzavano tra i fiori accarezzati da un vento silenzioso. S’immaginò sdraiato sul prato, con un libro aperto in una mano, mentre la luce del sole di maggio gli scaldava il viso e le braccia. Gli parve di udire qualcuno che chiamava il suo nome, con una voce che aveva quasi dimenticato.
Era passato così tanto tempo. Più del tempo che sua figlia aveva passato con lui.
In quell’immagine l’uomo si rituffò come un pesce che boccheggia nell’aria, e desidera solo l’abbraccio liquido dell’acqua. Ma non si può tornare in un sogno dopo averlo abbandonato al risveglio. Ci sono cose che, quando finiscono, non possono ricominciare. E poi è nella realtà che emergono tutte le imperfezioni.
«Papà, cos’è questo?» Sua figlia guardava qualcosa che sbucava in mezzo a un cespuglio. «Non è un fiore» affermò sicura, anche se non ne aveva mai visto uno.
Una macchia di pixel rossi, un’escrescenza piatta informe, là in basso sullo schermo.
“Devo riparare quel proiettore” pensò l’uomo. “È già la terza volta che lo fa, da quando è cominciata quella che chiamavamo primavera.”
«È un…» La spiegazione, che era una bugia, gli si fermò in gola. «Forse è meglio se cambiamo immagine.»
«No papà, mi piace questa. Possiamo ingrandirla un po’ qui» fece, indicando dove volavano le farfalle «e cancellare questa macchia rossa. A te piace questo ricordo. Ce l’hai da tanto tempo. Quando si poteva ancora andare in superficie.»
Sua figlia era nata dopo, quando il punto di non ritorno era stato varcato. Ci sono equilibri che l’uomo è inadeguato a toccare. Prima erano venuti gli incendi, poi gli oceani si erano surriscaldati, le città costiere erano state sommerse, e poi, e poi…
«È stato tanto tempo fa. Prima di conoscere la mamma. Quando il sole non faceva ancora così paura.»
Sua figlia aggrottò le sopracciglia e si fece pensierosa. Pensare al sole e immaginarne il calore tonificante, non omicida, era un esercizio di fantasia simile a quello di un uomo cieco dalla nascita a cui si chiede di distinguere le parti che compongono l’arcobaleno. Sapeva solo che una volta serviva per dare la vita.
Una farfalla dalle ali azzurre contornate di giallo disegnò un volo che la condusse quasi accanto alla bambina. Lei sollevò una mano, allungò un dito come per offrirle un appoggio dove riposare. Era solo un ologramma, ma quando si posò sul suo dito le sembrò di sentire un peso quasi impercettibile che le concedeva la sua fiducia. Non era vero, e lo sapeva. Ma non le importava. Quando la realtà ti colpisce brutalmente, ci sono illusioni a cui bisogna appoggiarsi per non cadere.
«Qui si sta bene. Nessuno ci farà del male.» La bambina guardava la farfalla, ma parlava a suo padre.
«No, piccola. Qui niente può farci del male.»
L’uomo sollevò una mano per accarezzarle il capo, ma si fermò. C’era una piccola macchia rossa e informe sul dorso della sua mano. La guardò come se avesse visto una ferita di cui si era accorto solo allora. La farfalla si sollevò in volo e lui, all’improvviso, capì.
©Ygor Varieschi, 2020
©Fotografia di Leonardo Cassi