Dilapidarsi

epa02439745 An yellow autumn leaf is taken by the wind on a sunny day in Bucharest, Romania, 10 November 2010. Sunshine and temperatures of around 20 degrees Celsius have been forecasted for Romania over the week. EPA/ROBERT GHEMENT

Il poeta non bada a spese. Non ne è capace. L’unico compito della sua vida breve è quello di spendere tutto se stesso.
Il poeta non sa in quale casa abita. Non sta né da te né da me.
Non ha nemmeno un indirizzo preciso. Vive una perenne condizione di clandestino.
Sa di essere l’ospite di quel momento.
E se può va via senza salutare: non debbano mai scoprire, gli altri, che lui c’era senza esserci.
Il poeta abita nella strada. Se c’è una cosa che sa fare quella è passeggiare. Senza mèta. Riesce a trascorrere così anche l’intera sua giornata. Instancabile. Chilometri su chilometri. Di giorno e di
notte. Soprattutto di notte. E pensa. E parla da solo. Con la testa piena di assurdità (Dylan Thomas). Baudelaire lo chiama flâneur, colui che vaga per le vie cittadine provando emozioni nell’osservare il paesaggio. È l’osservatore urbano, la figura centrale dei passages parigini di Walter Benjamin.
Stabilito che l’attività principale del poeta è la flânerie (il passeggiare), viene da chiedersi come il poeta riesca a sostentarsi all’interno di un sistema costruito da ragionieri.
Bella domanda. Il poeta non produce. Questo è assodato. Anzi, si potrebbe dire che il suo non-produrre sia la quintessenza della sua natura. E allora?
Lasciamo che sia lui in persona a risponderci: “Dal fondo del fondo di me stesso – ci spiega il poeta – so bene che nemmeno i sogni che faccio sono i miei. Sono diventato, come dire, il fedele servitore di un’esistenza altrui. E gli insulti che rivolgo alla mia persona non sono altro che una confessione con cui rendo sterile il teorema della mia volontà. L’avvenire? Scade presto nella precocità di ogni azione con cui brucio i mascheramenti della mia conoscenza. Insomma, volli essere vivo. E mi so morto”.
©Davide Marchetta

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