Martina
Un pubblico di studenti stanchi. Un professore fiacco che parla di mattoni. E noi due, io e Martina, alle estremità del progetto. Io estrema sinistra, lei estrema destra. Io vicino all’uscita, lei appoggiata alla finestra. Tra di noi tante teste che ambirebbero a feste e non a queste ceste di parole assai leste, nello scivolar via. A Venezia, all’Università di Architettura, c’è la peste. Eccolo qua, il lazzaretto dei sogni incolpati, con noi due che siamo mali estremi. Eppure ci troviamo. Un’ora, due ore, fino alla terza. Se il nostro sguardo fosse solido e il desiderio un coltello, due o tre appelli d’esame andrebbero deserti. Abbiamo gli occhi dello stesso colore perché ce li siamo scambiati infinite volte, tra le stratigrafie dei solai e l’asciugatura degli intonaci, tra le richieste del mai e le certezze del troviamoci. Alla fine. Senza parole continuiamo a scoparci a distanza, immobili. Occhi negli occhi, senza sorrisi, senza altri gesti. Festa mesta è questa lezione di materiali. Per gli altri. Per noi è una pista da ballo e suonano sette delle nostre band preferite, ne sono convinto. Gli Alice in Chains spalmano Nutshell con la lingua, i Radiohead iniettano Idioteque nelle vene, i Chemical Brothers ci chiamano di continuo, Hey Boy, Hey Girl, ma noi non abbocchiamo. La nostra è una magia atavica. Siamo gente voodoo, sono i Prodigy a ricordarcelo. C’è il fuoco tra di noi e ce lo diciamo sulle note dei Rage Against the Machine che sì, potremmo addirittura dormirci, adesso, nel fuoco. Give it Away, questa euforia del trovarsi, sarebbe la soluzione più logica, ché questa danza ci consuma e i Red Hot Chili Peppers lo sanno. E magari ci avvelena pure, ci rende tossici agli altri, ma non a noi stessi. System of a Down, Toxicity.
Finisce la lezione e si alzano tutti in piedi. Rimango al mio posto, coperto dai corpi dei viandanti che a storia dell’architettura medievale si avviano contenti. Io aspetto, ebbro di rock, di sesso e di elettronica. Finalmente arriva lei.
Mi chiamo M.
A., piacere.
Sei fuori sede?
Ho casa a Mestre.
Stasera vado a vedere i Luna a Padova.
I Luna? I Lali Puna, forse?
No, i Luna Pop.
Ah.
Ma domani sera dormo da te.
Poi mi bacia e con un morso mi ferisce il labbro. Assaggia il sangue e va via. Rimango perplesso. Ma non perché mi abbia preso alla sprovvista con il bacio. Proprio no.
Esco dopo un po’, fischiettando 50 special. Salto storia dell’architettura medievale. Ho un paio di album da recuperare.
© Alessandro Morbidelli
mA QUANTO BELLI SONO QUESTI RACCONTI DI ALESSANDRO MORBIDELLI? LI ADORO!!!