L’avvobarese
Caro diario, alea iacta est: il Rubicone fra il piodonnismo e il meretricio è varcato e nulla sarà più come prima. Forse.
Ricordi qualche mese fa, quando ti raccontai della mia serata con l’avvocatino barese, trapiantato in terra padana? Sì, quello giovane, carino, noiosino, muffino.
Ieri sera, dopo qualche mese di silenzio reciproco, è ricicciato fuori: sono in zona tua per un concerto, mi dice, ci vediamo?
Io ero fuori a cena col pollaio amicale e anche se la trombata non era stata delle più memorabili gli rispondo di sì e gli do appuntamento da me per l’una. Di notte, si intende.
Arriva dunque all’una: due convenevoli in cucina davanti a una tazzina di caffé, due chiacchiere.
Lui è sempre carino-gentilino-noiosino ma, novità, mi parla di una fidanzata con cui starebbe da anni.
Ah sì? E com’è che qualche mese fa questa fidanzata non esisteva?
Glisso. Tanto mica sono gelosa, no?
Ci diamo dunque due bacetti e ci ritroviamo in camera da letto.
Un due tre stella, dopo meno di quindici minuti l’avvocatini carino-noiosini-rapidino si infila nel mio bagno: l’atto è stato consumato, lui è andato a lavarsi ed io rimango come un sedano sul mio letto mentre una certezza si fa strada nella mia testolina: mo’ inventa una scusa per andarsene subito.
L’avvobarese rientra in camera, si avvicina al letto e poi chiede con voce belante se può controllare il telefono.
Sì, lo so, dice con aria fintamente contrita, è maleducazione, ma non vorrei che la mia ragazza mi avesse cercato.
Non pongo obbiezioni e il mio sesto senso per le sòle intuisce che sicuramente troverà ennemila chiamate sul telefono ammutolito per la trombata.
Ha chiamato, dice.
Io rimango muta.
Va bene, aggiunge, non importa.
Io sempre muta.
Fa un passo verso di me e poi si candida al miglior premio faccia-di-palta dell’anno.
Sì lo so perdonami lo so sono maleducato imperdonabile inqualificabile ma vorrei tornare a casa sai sono due ore di strada e poi è tardi e l’ho lasciata che aveva la febbre e non vorrei che richiamasse e bla bla.
Mancano l’invasione di cavallette e Urano in Nettuno e poi le scuse del cazzo le ha trovate tutte.
Ma pensa un po’. L’avvocatino carino muffino noiosino pensa di essere arrivato nel paese dei balocchi e delle allocche, dove ci si diverte e non si paga pegno.
Tesoro caro, penso perfida, ma tu non hai ancora capito con chi hai a che fare.
Io non perdo l’aplomb: nuda, distesa sul letto a mo’ di Paolina Bonaparte, gli sorrido, sfoggio la voce più soave che so fare, allungo la manina sinistra e dico: 50 euro.
Lui rimane imbambolato: prego?
Io: 50 euro.
Lui: Stai scherzando, vero?
Io: 50 euro.
Lui: Ok, so che stai scherzando ma…
Sempre senza perdere la calma e con tono mieloso lo interrompo: tesoro mio, se tu mi tratti da battona, io mi comporto da tale. Quindi: 50 euro.
L’avvo affastella minchiate su minchiate e in un minuto dice le parole che io dico in una settimana e che no, lui non è uno che sfrutta le donne, no, non è uno che le paga ed anzi è contrario e che no, non voleva offendermi eccetera eccetera eccetera.
Io non mollo di un centimetro e alla fine lui sgancia gli euri.
Un attimo prima di posare la banconota sul mio palmo si blocca, mi guarda fra il rispettoso e il rancoroso e se ne esce con un: certo che sei tosta, eh?
Coglione, penso, e te ne accorgi solo ora?
Sopracciglio destro sollevato, blocco il fiume in piena con un: tesoro, fra un minuto esatto mi infilerò sotto le coperte per dormire, quindi vedi di andartene se non vuoi rimanere chiuso in casa mia.
Tempo 12 secondi e l’avvocatino, un po’ vestito e un po’ no, è sul pianerottolo di casa mia. Chiudo la porta blindata a 12 mandate mentre lui ancora sta lì a giustificarsi dando aria alle corde vocali.
Io, serenissima, me ne torno al talamo.
Una sola cosa, mi rode dentro, diario caro: ma perché diamine gli ho chiesto così poco?
©Viviana Gabrini, 2015
Di più, di più, dovevi chiedergliene di più…
:DDDD
non dimentichiamoci che son tutti racconti di fantasia, neh 😛
è bellissimo e all’avvo muffino gli è andata molto ma molto bene
Ma io la sapevo con 250 euri !!
sAI VIV, C’E’ una canzone napoletana che , ad un certo punto in una sua strofa fa (tradotta a braccio): oggi sono tanto allegro che quasi quasi mi metterei a piangere, per questa felicita’.
E’ questo che mi ha fatto provare il tuo meraviglioso, come sempre, racconto.
LA DISINCANTATA DISILLUSIONE, IL BUFFO AVVOCATICCHIO CHE SARà SEMPRE UN PO’ MUFFOSO, IL SUO sdegnato STUPORE DA MASCOLINITà INFRANTA.
E POI IL GELO DELLA SOLITUDINE DEL DOPO, CHE CI FARESTI UN FALò CON QUEI CINQUANTA EURO, MA NON BASTEREBBE A SCALDARE UN ATOMO DEL CUORE.
ACCIDENTI VIV, LO SAI CHE LE LACRIME CHE CI FAI VERSARE SONO sia PER LE RISATE chE PER QUEL NODO ghiacciato LAGGIU’ AL FONDO DELLO STOMACO? chapeau, sei magnifica.
ancora.
PS l’alternanza delle maiuscole e delle minuscole e’ dovuta all’anarchia della tastiera. sorry
ma questa è un’altra storia. rompipalle chessei.
no no, ma che gelo della solitudine??? anzi, piena soddisfazione per averlo messo in scacco :)))
Ti adoro
:DDDDD