Il nero che c’è, il rosso che verrà

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© foto di Katia Colica

Il nero che c’è, il rosso che verrà

Lando sorride sempre, ha un dente solo piantato di lungo sulla gengiva superiore, le mani che tremano senza pausa, il capo grigio e ispido inclinato da un lato come uno che vuole continuamente capirne qualcosa. Ché quello che ha imparato per strada, in tutti questi anni, è poca roba.

Ho due grandi amici – mi dice – uno nero e l’altro rosso. Con loro ci parlo soprattutto di sera, me li metto accanto: il primo si accuccia sulle gambe, appena sopra le ginocchia; può sembrare che dia fastidio messo così ma d’inverno lui diventa una specie di coperta e io divento un materasso comodo. In estate si sta bene uguale. Mi ha trovato una notte al porto, fuggiva da qualcuno che gli lanciava pietre, mi ha guardato negli occhi e ha deciso che da allora ci avrei pensato io a difenderlo. Io, che non ho mai protetto nessuno, pensa. Aveva una ferita aperta sotto il pelo della coscia, qui, vedi? e allora l’ho portato da Vincenzo, il medico volontario delle monache, che gli ha dato l’antibiotico e lo ha disinfettato. Di Vincenzo ci si può fidare, delle suore di meno, ah. Quelle.

L’altro caro amico, il rosso, è questo che vedi dentro il bicchiere di carta. Mi dà ragione e non fa domande, solo che non è mai uguale, cambia sempre e io lo perdono se certe volte è aspro, se brucia al centro dello stomaco come un tizzone acceso. Ma che vuoi, a me basta poco, solo che mi stordisca tanto per fare finta che il tempo passi; e dopo che passa, per fare finta che in questa mia vita prima o poi ci stia altro, qualcosa di nuovo. Una cosa che non so, che non saprei dire. Una cosa bella.

Poi arriva giorno, mi alzo, mi spolvero da dosso la terra del marciapiede e ripiego i cartoni. L’amico nero me lo ritrovo sempre accanto, lui. E chi lo schioda. Quello rosso è andato da un pezzo ma tornerà se riuscirò a mettere assieme due tre monete per comprarne un brik. Se le signore con la pelliccia che passano me ne daranno qualcuna. Ma non ti comprare il vino o il whisky, eh? cicalano mentre mi lanciano cinque centesimi, che pur di non abbassarsi preferiscono farli rotolare a terra dai loro tacchi fin qui da me. No no tranquilla, dico io. Sì, va be’.

E intanto penso a loro, ai miei amici. Al nero che c’è e al rosso che verrà. Penso che con loro ci parlo, che me li metto accanto: il primo si accuccia sulle gambe, appena sopra le ginocchia; può sembrare che dia fastidio ma no. L’altro, invece, mi dà ragione e non fa domande solo che non è mai uguale, cambia sempre. E io lo perdono se certe volte brucia, qui, al centro esatto dello stomaco. Hai presente un tizzone acceso? Ecco: così.

Penso a queste cose e aspetto, aspetto che venga sera.

© Katia Colica

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