«Biancaneve! Biancaneve! Dove sono i calzini? Non si trovano mai. E le mutande pulite? Ma possibile che in questa casa non si trova mai nulla. Quando stavo con mia madre…»
«Arrivo!»
Quando stavi con tua madre. Eh, quando stavi con tua madre.
Lavo i piatti del pranzo. Pulisco il piano cottura e subito dopo preparò un caffè per il principe. Non si saprà mai se sarà un buon caffè.
Ho già aiutato i bambini con i compiti. Tutto questo senza trascurare di lasciare scoperto il collo dalle ciocche di capelli per farmelo baciare dal principe azzurro che però, intanto, scorre la home di Instagram.
E per questo non ha nemmeno tempo di guardarmi le gambe, ché tanto di gambe da guardare se ne trovano ovunque, se serve.
Di gambe da guardare, in giro, ce n’è quante ne vuoi.
Avrei dovuto accettare la corte di Barbablù giusto per quella storia dei baci sul collo – io lo vedo come mi guarda quando passo davanti alla sua fortezza di case popolari, lo sento cosa mi dice – ma in fondo le gambe le voglio guardate dal principe mio.
Forse per amore, forse per passione. Forse per educazione cattolica.
E così pensò che sarebbe sia giusto continuare ad ascoltare i consigli della posta di Donna Moderna: Fatevi trovare sempre carine e curate dal vostro uomo.nQuindi tiro una pennellata di fard, un righino di matita nera sugli occhi e vado a pulire il vomito del piccolo.
Eccolo, il principe, si sfila la canottiera azzurra macchiata di sugo ciabattando verso il bagno e io lo guardo come fosse il Bronzo B ma lui non se ne accorge perché giusto adesso gli arriva un WhatsApp.
A stasera, dice uscendo; però sorride dicendolo e così nemmeno gli ricordo il sacco di spazzatura da buttare, dopotutto i cassonetti sono a cento metri, e se cammino ogni giorno combatto la cellulite e le mie gambe viste da sotto il babydoll continueranno a essere uno spettacolo, non si sa per chi ma un vero spettacolo, ragazzi.
Metto un jeans aderente con top appena scollato e infradito indiane per stare comoda e portare velocemente i bambini da nonna Grimilde. Torno e spedisco una e-mail al capo, cambiò le lenzuola, carico la lavatrice.
Poi inizio a cucinare per cena.
Mentre il sugo è sul fuoco sfilo via la cintura dall’accappatoio riposto nel Primo cassetto e la fissò per un capo nel tassello su cui è agganciato lo scaldabagno. Sull’altro capo annodo una specie di cappio, così come riesco a farlo, non benissimo, insomma. Lo annodo pressappoco come avevo immaginato di fare per troppo tempo e, solo per questo, lo avevo previsto più semplice. Salgo sul bordo della vasca e infilò la corda al collo, collo ancora scoperto dalle ciocche di capelli per quella storia dei baci che, comunque, non sono arrivati.
Che non arrivavano più da anni.
Vorrei essere ancora bellissima da morta. Potrei, però, se la mia morte fosse diversa. Se qualcuno, per assurdo, mi facesse mordere una mela avvelenata ecco: diventerei uno splendido cadavere dai lineamenti perfetti da esporre persino in una bara di cristallo, un bellissimo cadavere; soltanto un po’ bluastro.
Dice che il veleno conserva.
Ma a me serve qualcosa di diverso, serve qualcosa che mi regga, che mi tenga su mentre vado via. E una corda al collo, in questo caso, è perfetta, una corda al collo non ti lascia scappare.
Penso a tutte quelle favole senza senso. a quelle cose che potrebbero riportarmi in vita miracolosamente, prima tra tutte un bacio del mio principe. Ma un bacio vero, non certo quegli stampi veloci che mi dà prima delle partenze o di ritorno a casa la sera.
Con quei baci del cazzo non ci si fa nulla, non rianimi un vivo figurati un morto. Quindi niente, sarò un cadavere orrendo e deforme.
Sto per saltare giù dal bordo della vasca quando sento uno schianto arrivare dal salotto. Sfilo la cintura dal collo e mi precipitò nella stanza. Trovo il principe azzurro steso a terra supino, in un lago di sangue. A una prima occhiata pare che, rientrando in casa, sia scivolato sulla chiazza di piscio del gatto che mi sono dimenticata di pulire. Il principe, con alte probabilità, ha poi sbattuto la testa sul bracciolo in legno del divano.
Stenta a respirare. Ha gli occhi sbarrati e rantola chiedendo aiuto.
E certo che ti aiuto: ti aiuto io, tesoro. Ho un metodo sicuro, ora ti aiuto, ecco, aspetta: ti aiuto.
Allora gli sollevo la testa con le due mani prendendogli il viso teneramente tra i palmi e avvicinandomi lentamente gli stampo un bacio a ventosa. Un bacio molto lungo, comunque; anzi lunghissimo, tanto per non lasciare nulla di intentato.
Un bacio di quelli che tolgono il fiato: un bacio da favola.
© Katia Colica, 2021