
«Ed è con grande orgoglio e fierezza che oggi inauguriamo la sezione “Bossi senatùr Umberto” di Beddamatri Polistena al Mare Nord!». Le parole del neosegretario di sezione Cacace Pasquale Gennaro Maria, ormai noto come Mario el Brambila, scatenarono un’ovazione fra i presenti, cinquantasei fra uomini, donne e ragazzini, venuti a rendere omaggio a quell’avamposto di civiltà leghista che finalmente aveva fatto breccia nel medioevo politico di quel piccolo paese decisamente a sud di Bologna.
Il Cacace ora el Brambila, aveva dato disposizioni ferree: per festeggiare, niente mortaretti, tric trac o spari di lupara. Sarebbero bastate grida gioiose, pacche sulle spalle e virili “uèla!” di nordica discendenza.
Per rendere l’evento più credibile, el Brambila aveva posto il veto sul menu a base di peperoni ‘mbuttunati e timballo ‘ncasciato, giudicati troppo volgari, e aveva ripiegato su un sobrio banchetto a base di cassoeula, ossibuchi e panettone ripieno di polenta taragna.
Incuranti dei 38° che stavano arrostendo il paese, i leghisti padani-salviniani di Beddamatri Polistena al Mare Nord trangugiavano fette di torta del paradiso inzuppate nella cassoeula intonando yodel tirolesi.
«Yodel tirolesi?» aveva commentato il neo vicesegretario di sezione Marotta Salvatore, che aveva volentieri rinunciato al suo nome in cambio di un acconcio Ghiringhelli ma che ancora doveva digerire il veto contro le canzoni di Gigi D’Alessio.
Ma el Brambila era stato irremovibile e tutta la sezione aveva investito l’ultimo mese per imparare quelle imbarazzanti urla belluine, condite da altrettanto imbarazzanti pacche su cosce e glutei, inguainati in inguardabili brache di cuoio.
Cacace Pasquale Gennaro Maria, ormai Mario el Brambila, si guardava attorno con soddisfazione: la vecchia sede dell’ Azione Cattolica era stata ridipinta di verde e sui muri campeggiavano i ritratti dei padri della Patria: Salvini, Bossi, Maroni e Borghezio.
Basta insulti, basta razzismo, basta ghettizzazione. L’ora del riscatto era arrivata.
I suoi pensieri di rivincita vennero interrotti dalle urla degli amici che lo incitavano: «Di-scor-so! Di-scor-so!».
El Brambila salì su un palchetto improvvisato riutilizzando un platò di pomodori della stagione in corso (2 euri all’ora tolte le spese di vitto e alloggio in comode baracche di amianto alla periferia del paese) e gonfiò il petto di aria e di orgoglio: «Finalmente – ruggì el Brambila – non siamo più i teroni, i reietti, gli ultimi. Finalmente anche noi siamo diventati veri italiani, veri padani, veri leghisti!»
Gli astanti erano in delirio. Al neopadano La Manna Calogero sfuggì un avventato “minchia!” di contentezza, subito commutato in un “ciumbia” a suon di mazzate sul collo.
«A favore della razza italica – ululava el Brambila – contro l’invasione dei teroni negher che vegnen qui a rubare il lavoro a noi!»
Osanna e urla di contentezza.
«Basta negher nei campi di pomodori» gridò facendo impallidire il compare Di Dio Crocifisso, imprenditore agricolo e proprietario delle più grosse piantagioni di pomodori della provincia.
«Basta badanti dell’est chi vegnan accà e circuiscono i nostri vecchi» incalzò suscitando più di una perplessità fra gli astanti, metà dei quali aveva scaricato almeno un anziano e ingombrante genitore alla Ivanka di turno, 400 euro al mese e mezza giornata di riposo a settimana per le commissioni fuori casa.
Qualcuno, in preda all’entusiasmo, si lasciò scappare un “Roma ladrona!”, subito rimbrottato dai neopadani: quello era il programma delle elezioni precedenti, mica quello attuale, ciula!
«A breve – seguitava il Cacace Pasquale Gennaro Maria, ormai Mario el Brambila – corsi di milanees ogni lunedì e seminari, anzi no, workshop di risotto e luganega tutti i mercoledì pomeriggio, dopo la messa delle 18».
El Brambila cercò di ignorare i sorrisetti tirati di alcuni irriducibili: la loro italianizzazione era iniziata e niente e nessuno avrebbe fermato l’avanzare del progresso e della civiltà.
Poi rivolse un pensiero colmo di gratitudine a quei teroni dei negher che finalmente avevano liberato il sud dal giogo dei soprusi nordisti.
Finalmente c’era qualcuno più terrone di loro, pensò el Brambila, mentre una piccola lacrima di commozione gli cascava sulla cravatta verde Padania.
Viva il Capitano! Viva il Senatùr! Viva l’Italia!
©Viviana Gabrini