Bella da morire

– Ieri notte ho ammazzato un uomo. La prego, non faccia quell’espressione: sì, lo so quello che ho appena detto. Che ho ammazzato un uomo, ma almeno prima mi lasci raccontare. Ne ho bisogno. Non pensavo e invece da qualche mese sento il desiderio di raccontare quello che mi sta accadendo. Espiare, dice? Ah, mio caro, ma per desiderare l’espiazione bisognerebbe provare pentimento. E io non sono affatto pentita. Sì, certo, ho parlato di mesi, perché questa storia è iniziata cinque anni fa. No, forse sarebbe più corretto dire che questa storia è iniziata trentacinque anni fa.

La donna si accese una sigaretta e bevve qualche goccia di liquore che l’uomo le aveva versato in un bicchiere. Sospirò, chiuse gli occhi e si lasciò andare per qualche istante contro la spalliera della sedia.

– Succede sempre nella stessa maniera. Li conosco tramite annunci sui giornali. No, non uomini qualunque. Li cerco sempre di mezza età e benestanti. Dopo un primo contatto telefonico, c’è l’appuntamento in un bar del centro per un caffè. Poi, ogni volta, ci si rivede a breve in qualche piccolo e discreto alberghetto di periferia, uno di quelli dove non fanno troppe domande e non chiedono documenti. ‘Sono come tu mi vuoi’ è il mio soprannome. E questa cosa, agli uomini, piace moltissimo. Sono convinti di avere fra le mani una bambola che si agghinda secondo i loro voleri. Li fa sentire potenti. Essere bella mi aiuta. Perché lo so, di essere bella. Il resto lo fa il mestiere. Mi vede? Oggi sono Ingrid Bergman in Casablanca, ma ieri notte ero Gilda. Sì, la Gilda di Rita Hayworth. Se mi avesse vista! Parrucca rossa, ma una parrucca di gran marca, altissima qualità, capelli veri. E un abito di raso nero che mi fasciava il corpo. Lo spacco, i guanti lunghissimi. Sì, ero magnifica.
Sono entrata nella stanza e lui era già lì, steso e nudo nel letto, come avevamo concordato. Gli ho sorriso. Mi ha detto che ero bellissima. Gli ho legato i polsi alla testata del letto. Portava bene i suoi cinquant’anni: asciutto, tonico, un bel corpo. E forse erano belli anche gli occhi e lo sguardo, ma ora non ricordo bene. In fondo, che importa?
Mi sono spogliata e ho tenuto solo i guanti. Sono montata a cavalcioni su di lui e mi sono accucciata contro la faccia. Sono sempre molto silenziosa. Il silenzio è importante. Poi gli ho chiuso la bocca con un bavaglio. Mi sono spostata davanti a lui, perché mi vedesse mentre mi toccavo. Era talmente eccitato che non si è nemmeno accorto che avevo allungato una mano verso la borsa che avevo posato ai piedi del letto. Era talmente eccitato che non ha nemmeno visto la lama del coltello con cui l’ho evirato.
Un gesto solo, netto, preciso. Ci vuole molta forza e determinazione per fare un buon lavoro, sa? Non si può cincischiare o avere ripensamenti.
Mentre lui agonizzava e il sangue, a fiotti, inzuppava le lenzuola e il materasso, mi sono spostata al centro della stanza. Tutti uguali. Tutti la stessa espressione attonita e terrorizzata, quando realizzano che la vita li sta abbandonando zampillando fuori dai loro corpi insieme a sangue e bestemmie.
Un paio di scarpe basse hanno preso il posto dei tacchi a spillo. Un tailleur blu ha sostituito l’abito di raso nero. E una parrucca grigia mi ha fatto diventare una discreta e insospettabile signora di mezza età.

La donna fece una pausa, mentre l’uomo davanti a lei si prendeva il viso fra le mani.

– Lei deve costituirsi.

La donna si limitò a scuotere il capo in segno di diniego.

– Per costituirmi dovrei essere pentita, ma io non sono pentita. Ho un progetto e lo sto portando avanti. Il mese scorso ero Marilyn, la Marilyn di Quando la moglie è in vacanza. Parrucca platino e abito che si solleva a ogni passo. E lo scorso inverno sono stata una splendida Greta Garbo: Ninotchka. È facile per me trovare uomini. La bellezza aiuta. Ma questo gliel’ho già detto, vero? Si sentono potenti, gli uomini, potenti e invincibili, e avere sotto di loro una bella femmina appaga il loro ego. Ci usano. Senza pietà. Io do loro quello che si meritano.
– Se sei venuta da me è perché in te hai il germe del pentimento. Tu devi costituirti: non avere paura. Verrò con te e ti starò accanto per tutto il tempo del processo che ne verrà.
– Padre, io non voglio andare in galera. Non me lo merito. Non me lo merito affatto. Gli uomini sì, gli uomini si meritano di morire così, nudi, privati della loro virilità, finalmente incapaci di fare ancora del male. Se sono venuta da lei è perché avevo bisogno di parlare. E infatti ora sto meglio. Anzi, parlarne con qualcuno mi ha fatto capire che sto facendo bene, che sto agendo per il meglio. Ho scelto la sua parrocchia perché periferica, discreta. E ho scelto un prete perché so che siete legati al segreto del confessionale. Non è così?

Il prete annuì, in silenzio.

– Posso essere sicura che non mi denuncerà, vero?
– No, non posso denunciarti. Ma devo pregarti di smettere e di iniziare un percorso di pentimento durante il quale avrai tutto il mio aiuto.

La donna sorrise e si accese un’altra sigaretta. Fuori, il pomeriggio scivolava verso la sera e lunghe ombre oblique segnavano il pavimento della canonica dove il parroco l’aveva ricevuta per quella confessione inaspettata.

– Gli uomini mi fanno schifo. Tutti quanti. A partire da quello che mise incinta mia madre e sparì nel nulla. E poi via via tutti quelli che le hanno fatto del male. Perché lo sa meglio di me quale possa essere l’unica risorsa di una donna sola, giovane e bellissima con una figlia a carico. E io me li ricordo tutti quanti, quegli schifosi che entravano nel tinello attrezzato a sartoria. Io rimanevo lì a giocare coi pezzi di stoffa colorati, mentre un uomo, diverso ogni volta, mi portava via mia madre per mezz’ora o poco più. Così ci vogliono gli uomini: belle e fragili. Da gettare via all’occorrenza.

Un silenzio irreale era calato insieme alla penombra.

– Adesso devo andare, si è fatto tardi. Grazie per avermi ascoltata.

La donna si alzò, raccolse guanti e borsetta e si voltò verso il parroco.
Rapida quanto imprevedibile, si chinò su di lui e prima ancora che lui capisse cosa stesse succedendo, una lama affilata gli squarciava la gola da un orecchio all’altro.
Mentre l’uomo moriva sotto i suoi occhi, la donna si spogliò velocemente: scarpe nere, basse e da uomo al posto delle décolleté, una lunga tonaca invece dell’impermeabile e un cappello di feltro nero in sostituzione dell’elegante cappello color crema.
Mentre fissava la barba posticcia al mento e alle guance, la donna pensò che forse avrebbe potuto risparmiare il prete.
Ma no, si disse, meglio non rischiare. In fondo anche lui, come tutti gli altri, non era che un uomo.

©Viviana Gabrini, 2021 (tratto da Trenta racconti indecenti e una storia d’amore, Prospero Editore)
©Immagine Pixabay

Condividi: