Basso profilo (Max e Nina)

Max era concentrato, gli occhi sul monitor del portatile e la mano sul mouse, pronta a trascinare le sue idee da un punto all’altro del progetto. La voce di Nina lo raggiungeva, ovattata, dal bagno. Una
sorta di nenia, un basso brontolio, molto diverso dalle reazioni squillanti della donna e dai suoi scoppi alternati di risate e ringhi feroci, senza vie di mezzo. La porta dello studio si aprì e lei lo raggiunse in asciugamano e con i capelli bagnati, si chinò coprendo il telefonino con la mano e sussurrò «è la signora con l’accento campano». Lo disse cinguettando, come uno spot degli anni Sessanta con la casalinga che fa assaggiare orgogliosa il proprio brodino al marito. Era un’occasione felice, di quelle ti fanno sentire
giusto, un ingranaggio del grande universo, utile a far girare tutto nel modo corretto.
Lui era distratto dal lavoro, le rispose senza guardarla «cara signora campana, ci chiama per farci gli auguri di buon natale, immagino.»
Una goccia scivolò dai capelli di lei e gli cadde sulla mano appoggiata al mouse, lui si ritrasse senza pensarci. Nina continuò a farfugliare con fare cospiratorio, «no cicci, vuole parlare di lavoro, stavolta riguarda l’appartamento». Lui sospirò come una vecchia stufa a legna, giusto per far pesare alla donna il tempo sottratto al lavoro e accettò il telefono.
Ebbe inizio una sorta di soliloquio della signora campana, interrotto sporadicamente da mugolii di assenso da parte di Max, mentre Nina sorrideva in bagno e seguiva il ritmo degli ah-ah di lui, intanto si
asciugava i capelli. Dopo dieci minuti Max le restituì il cellulare, ma quello squillò nuovamente entro pochi secondi. Restarono immobili a guardarsi, poi lei rispose.
«Sì? Sì, sono la signora Nina, quella che le ha risposto prima. Sì, il signor Max è mio marito, cioè, per essere precisi è il mio compagno. In che senso, scusi?», coprì il microfono e sussurrò a Max «mi ha
detto che sono una zozzona», lui rispose con segno di assenso e ruotò velocemente la mano per indicarle di andare avanti.
La signora campana non poteva credere di essere stata liquidata da Max, dopo aver avuto tutto il tempo di spiegare con precisione i termini dell’accordo, c’era qualcosa di profondamente sbagliato in
quel diniego ed era decisa a indagare. Nina era ancora coperta da un asciugamano leggero, tremava, i capelli bagnati, pur tuttavia si sarebbe assunta volentieri l’onere di sbrigare quella faccenda.
«Signora, riferisca pure a me.»
«Ma chi è che si occupa di quell’appartamento? Lei o il suo amichetto?»
«Il mio compagno, le ho detto, guardi che sono vent’anni che viviamo insieme. Comunque, se ne occupa lui, ma mi pare che abbiate già parlato, non ricorda?», puntualizzò con tono di scherno.
Avrebbe voluto sbrigare quella pratica e assaporare ogni minuto in più, strappato all’onorario della sua interlocutrice, ma quella si era incaponita, voleva Max, come un Cristoforo Colombo agognava le
Indie. La signora campana stava per naufragare sulla spiaggia sbagliata e ne era del tutto inconsapevole, ma ciò non bastava a dar gusto a quella pietanza vendicativa.
«Senta signorina, non penserà che voglia rubarglielo! Me lo ripassi.»
«Come vuole, glielo ripasso.»
Max le rivolgeva segni disperati, una mano di taglio sulla gola per indicarle di chiudere ma lei era risoluta, qualcuno avrebbe dovuto lavare col sangue l’offesa rivolta alla loro relazione.
Riluttante, lui riprese il telefono «ben ritrovata, mi dica. Ipotizzo che lei possa aver ragione, forse non ho valutato bene la questione. Mi ripeta tutto da capo. Come dice? Sì, me lo dicono tutti che sono più
ragionevole di lei.» Si scambiarono un’occhiata d’intesa, lui divertito, lei imbronciata, poi Max si riposizionò davanti al monitor e riprese a mugolare in segno d’assenso, la mano sul mouse si muoveva veloce, doveva aver trovato l’inghippo che cercava. Continuò a lavorare in silenzio, Nina si affacciò dal bagno per capire se la conversazione fosse già finita e lo vide, seduto, il cellulare ancora attaccato
all’orecchio, le dava le spalle.
«Come scusi? Sì, certo, sono qui e sto ascoltando, stavo ragionando perché temo di non aver capito l’ultimo punto, me lo ripetere? Grazie, cara.»
Lei finì di vestirsi e uscì di casa. Tornò dopo quaranta minuti, venti dei quali passati a fare la fila dal medico di base per una ricetta. Si affacciò nello studio, Max era ancora in postazione, lavorava e
assentiva col cellulare all’orecchio, Nina, orgogliosa, gli lanciò strali d’amore e rispetto. Verso mezzogiorno lei preparò dei tramezzini che consumarono in silenzio, seduti alla scrivania di lui.
Deglutì più discretamente possibile, lei gli passò una bottiglia d’acqua e raccolse le briciole dalla tastiera del pc, poi gli domandò con un sussurro se avesse ancora fame, lui rispose «no, a posto
così… Come? Sì, dicevo, credo di aver capito questo punto, gli aumenti, la percentuale di rischio, giusto, continui pure. È tutto estremamente illuminante.» Era ancora al telefono con la signora campana.
Un’ora dopo Max cominciava ad agitare le ginocchia, le fregava ritmicamente e la sedia da ufficio prese a cigolare come se si lamentasse di quel balletto sincopato. Nina, seduta nella sua porzione di scrivania, scriveva di politica, diritti e altre facezie da riversare nei suoi pamphlet umoristici. Avvertì le vibrazioni sul
piano di lavoro e si rese conto della situazione. Gli fece cenno che avrebbe potuto continuare lei a intrattenere la signora campana mentre lui andava in bagno e Max accolse quell’offerta con gratitudine.
«Senta cara, potrebbe gentilmente ripetere questo specifico punto, che trovo estremamente importante, alla mia signora? Sì, sono io che mi occupo di questa situazione ma le decisioni importanti le
prendo insieme a lei.» Restò sospeso con la bocca aperta, come se il discorso fosse stato messo in pausa, quindi riprese «certo cara, del resto è più una questione di cortesia, facciamole credere di avere
voce in capitolo, vuole? Bene, le spieghi questa faccenda del 20%, faccia piano, con pazienza, come se Nina avesse quattro anni. Gliela passo.»
Max le porse il telefono e corse in bagno.
«Pronto? Sì, sono la signora Nina. Come signorina? Lo sa, prende bene il segnale per una telefonata che giunge dal 1920. Certo che Max è qui vicino a me, lo riavrà a breve.» Lanciò uno sguardo verso la porta del bagno e soffocò una risata.
Si alternarono al telefono per tutto il pomeriggio.
Max partecipò a due call, Nina uscì per pagare una bolletta, riuscì a finire un racconto, lui non terminò il progetto ma si ritrovò a buon punto, lei preparò un caffè, la signora campana continuava con la
sua inesorabile opera di spiegazione e convincimento, Narrami, o Musa, l’uomo dall’agile mente che a lungo andò vagando, poi che cadde Troia.
Alle 19.25 la signora campana fornì le ultime istruzioni per poter passare dal vecchio gestore di luce e gas a quello da lei pubblicizzato.
«Signor Max, siamo giunti al momento più importante. Le ho spiegato tutto, ho risposto alle sue domande e le ho illustrato più volte tutto il procedimento. Vuole favorirmi una sua mail, così che
io possa inviarle il contratto da firmare?»
«È un passo importante questo, lei non crede? Non saremo troppo precipitosi? Però, se lei davvero mi costringe a prendere una decisione nell’immediato, temo che la risposta sia: no. Non intendo
cambiare gestore per luce e gas, mi dispiace.» disse Max, mentre spegneva il suo pc e riordinava la scrivania. Stanco ma soddisfatto, appoggiò il telefono con un gesto solenne. Lo depose con tutti gli
onori.
Nina lo guardava con aria interrogativa «strali dal cielo o muta rassegnazione?»
«Inspiegabilmente mi ha riattaccato il telefono in faccia. Domani mi uscirà un livido sulla guancia, ciccia.»

«lo so, noi donne tendiamo tutte a Glenn Close in Attrazione fatale quando ci sentiamo rifiutate. Le passerà e ti richiamerà per invitarti a cambiare gestore telefonico, vedrai. A proposito, non eravamo
d’accordo che stavolta avremmo rivelato che quell’appartamento lo abbiamo venduto l’anno scorso?»
«Sì, è vero, ma sarebbe finita per sempre, saremmo stati depennati dalle loro liste e avrebbero continuato a truffare altra gente. Ho pensato che sarebbe stato meglio tenerli occupati con noi, non
credi, ciccia?»
«Hai ragione, cicci. Basso profilo.»

©Ale Ortica

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