Gentile Governatore, questa lettera non ha pretese. Al contrario, mi sento un po’ Billy Pilgrim e un po’ Forrest Gump mentre guardo questo tempo disgraziato e ragiono, che è pratica desueta, ma a volte necessaria. Però, come sa, per ragionare occorre aver studiato, essersi formati, aver acquisito l’umiltà che rende possibile la conoscenza. Insomma tutte quelle cose che si imparano frequentando scuole e università che praticano discipline umanistiche, per definizione improduttive. Tuttavia, ai tempi della peste – quelli di Boccaccio, di Manzoni e di Stephen King (e mi perdoni l’accostamento inconsueto) – sarebbe cosa opportuna rendersi conto che preservare la vita, la nostra e quella dello spazio che abitiamo, è il dato fondamentale. E per preservare la vita, ci vogliono: intelligenza, lungimiranza, capacità di connettere e una buona dose di umiltà. E onestà. Temo che tutto questo discenda da apertura mentale e formazione. Questo forse spiega il suo problema, e lo dico da insegnante, perché questa cosa qui, mi dispiace, la so fare. Le sue lacune sono un problema, sa? Perché lei governa. E si suppone lo faccia per il bene di chi l’ha eletta, con tutta l’intelligenza e l’acume necessari.
Noi non governiamo. Noi, cosa vuole, siamo le cittadine e i cittadini normali. Quei pochi che non si pensano epidemiologi, esperti di statistica, politologi, e più bravi di qualunque medico specializzato, matematico pluripremiato, giurista e filosofo. Noi siamo quelli che non si esprimono, Governatore. Quelli che non hanno potuto fare il vaccino anti-influenzale perché il loro medico di base il vaccino non lo ha, pur avendone ordinato dosi a tempo debito. Quelli che rimangono appesi ai call centre mentre cercano di farsi fare un tampone. Quelli che non sono riusciti a ottenere il ricovero in ospedali ridotti all’indigenza perché non necessari all’eccellenza. Quelli che magari non si prendono il Covid-19, e però hanno mille altre patologie e non possono pagarsi i controlli privatamente. Quelli che aspettano. Quelli che avevano appena aperto e hanno già richiuso. Quelli che non hanno mai aperto.
Noi siamo gli insegnanti che ci provano, a mantenere il loro mandato formativo, anche da uno schermo imbastito di pallini. E, guardi, sicuramente il nostro prototipo non è il cantautore poeta Vecchioni, che Gramellini ci offre come maestro delle parole. Sa, noi siamo più banali e quotidiani: pensi che noi studiamo per prepararci le lezioni. Ci facciamo andar bene una modalità digitale che detestiamo, tant’è che non ci eravamo neanche mai comprati uno smart phone. Per quello che facciamo, e perché tanti di noi lo fanno bene, studentesse e studenti ci amano e ci sono grati, anche se poi su giornali finisce solo il modo in cui alcuni di essi ci insultano e quello in cui altri di noi vengono oltraggiati (e messi al bando) pur non avendo colpe. Noi siamo gli infermieri specializzati e gli addetti alle pulizie di ogni etnia, quelli che si alzano al mattino presto per raggiungere il posto di lavoro e fare quello che devono imbacuccati come mummie. E non si arrendono. E sorridono. Imparano a passare sopra agli insulti, che sono acqua che scorre. Un lavoro fatto bene, invece, resta. Noi siamo le donne che hanno perso il lavoro e che sono rimaste chiuse in casa, perché “era meglio così”. Una donna deve occuparsi dei figli, nella famosa “famiglia tradizionale” sostenuta, sguainando la sacra spada di San Giorgio, da politici la cui famiglia di tradizionale non ha nulla. Predicare e razzolare sono due verbi ben separati dalla sicurezza di uno stipendio non meritato per responsabilità non assolte. Noi siamo quelli per i quali è importante potersi guardare allo specchio e riconoscersi. Noi siamo le persone per bene. Pur essendo del tutto raziocinanti, siamo quelli che si astengono dal formulare giudizi affrettati sulla base di informazioni e competenze insufficienti. In altri termini, non somigliano ai giornalisti ormai trasformati in soubrettes televisive presenti in ogni dove a dire che il governo dovrebbe chiudere e però non dovrebbe chiudere e tuttavia se chiudesse sarebbe meglio. Noi siamo i governati, non i governanti. Noi siamo anche i morti per colpa delle terapie intensive che non c’erano, degli ordini fatti per trarne un guadagno e non per proteggere la comunità, delle informazioni date a caso, incolpando sempre qualcun altro per l’errore: governo, magistrati, amministratori spaventati, giornalisti invadenti che la interrompono con insipide domande sui vaccini mentre sta andando a inaugurare un presepe. Se la prende con tutti tranne che con se stesso. Ma le darei una notizia, se posso: lei è il Governatore. La responsabilità è sua. La responsabilità di ciò che non va nella gestione delle strutture regionali, comunque vada, caro signore, è sua. Noi capiamo. Errare è umano. C’è un romanzo splendido di Anne Marie MacDonald, che dubito molto che lei conosca, intitolato Fall on Your Knees. L’edizione italiana traduce il titolo come Chiedi perdono, che è molto efficace ma non perfettamente fedele. L’espressione inglese significa “Inginocchiati”. Perché glielo dico? Stiamo aspettando questo, noi persone normali. Aspettiamo le scuse. Nel modo adeguato. Non basteranno a saldare il conto dei morti e dei falliti, ma ci sconsoleranno un poco.
Buon Natale.
PS per sua conoscenza: Billy Pilgrim è un personaggio di quel capolavoro di Kurt Vonnegut Jr che è Mattatoio N. 5. Al profilo è evidentemente ispirato Forrest Gump, del celeberrimo, omonimo film di Robert Zemeckis. E Stephen King ha scritto un romanzo notevole sulle pandemie, intitolato in italiano L’ombra dello scorpione. Boccaccio e Manzoni suppongo li conosca già. Forse.
© Nicoletta Vallorani, 2020