DUE PESI E DUE MISURE
Per caricare la prima ci volle l’argano, la seconda invece la sollevarono senza difficoltà due addetti mingherlini, e per lo slancio la cassa fece pure un piccolo sobbalzo sulle loro spalle, quasi che, come una cavalletta, volesse saltare giù.
Più di duecento chili una, nemmeno cinquanta l’altra, al lordo delle due casse.
E poi che strano che fossero morte lo stesso giorno, per motivi opposti ma in fondo così simili, legati al cuore e all’appetito: di indigestione e di fame. Esplosione e implosione, due facce dello stesso scoppio. Lo avevano deciso insieme, per uno di quei pensieri così netti che nella testa diventano comando, incontrandosi a metà della stessa strada qualche anno prima. Abitare in una minuscola città e avere nel cervello lo stesso quantitativo d’odio è cosa complicata e non priva di mistero. Si prova a non fare le stesse vie, a cambiare percorso, a non guardarsi in faccia quando da lontano ci si vede. Perché l’odio fa male. Poi alla fine è tutto inutile.
Un giorno si erano scontrate girando un angolo, si erano guardate, vedendosi con lo sguardo della rabbia più nera, si erano trovate orribili. Una aveva pensato che l’altra fosse una piccola stronza rinsecchita e le aveva augurato di dimagrire fino a sparire. Intanto l’altra osservava i chili di troppo dell’avversaria e con un ghigno in cuor suo aveva desiderato che si moltiplicassero. Anzi, di più. Aveva pensato con esattezza che voleva donarle un chilo per ogni dieci che fosse riuscita a prendere. E così, mentre spariva la donna rinsecchita, esplodeva la sua nemica. Nessuna delle due, naturalmente, era felice. Si rendevano conto di precipitare e così si rivolgevano a medici, stregoni, naturopati, psicologi. Bastava però sapere che l’altra stava meglio, per ricominciare a farsi del male nella speranza che la propria distruzione avrebbe avuto un effetto uguale e contrario sulla maledetta puttana. E la maledetta dimagriva. E la maledetta ingrassava.
Lui non poteva farci niente. Lui le stava a guardare. Chi sono io per giudicare, in fondo. Chi per riuscire ad aiutare. Le donne del mondo sono pazze. Vogliono avere sempre l’ultima parola, mettere il sigillo alle storie.
L’amante non può sopportare la figlia; la figlia non vuole l’amante. L’amante ingrassa e muore. La figlia dimagrisce e muore. Lui però è insieme padre e innamorato. Che può farci. Ha cercato di dividersi, per un poco. E le lamentele, i pianti e gli strilli, cercava di non sentirli. Cercava di fare del suo meglio ma il meglio non è abbastanza per le Erinni. Una la scopriva a vomitare con un dito in gola, l’altra la trovava in pasticceria a ingozzarsi di cannoli.
Tertium non datur è un modo di dire, cosa potevano saperne i latini, i tempi cambiano, è tutto accelerato, tutto più facile.
A quale funerale andare, è una scelta che non si può fare. Meglio respirare. Meglio andare al mare con Anna.
© Roberta Lepri, 2015