UNA CASA IN PERIFERIA
È solo una notte di aprile, fresca e ventosa.
La luna fa i dispetti, non si lascia più ritrarre e io non posso sporgermi da uno dei balconi che circondano la casa rischiando di spiaccicarmi sulle rampe di accesso ai box auto.
L’avrei fatto, l’avrei seguita nel suo danzare apparente.
Poi ho desistito, tanto almeno un’altra occasione non mancherà.
Da quanto tempo ho smesso di prendermi cura di me stessa? di volermi bene, di curarmi, di permettere a qualcuno di darmi un consiglio che avrei accettato, contravvenendo alla mia pessima abitudine di chiedere per poi far sempre di testa mia?
Se il ricordo di ciò non si perde nel buio più fitto del passato remoto, morto e sepolto, è solo perché, di tanto in tanto, mi fermo un attimo a pensare che le mie teorie sulla vita non sono tutte giuste e che forse dovrei concedere una possibilità di ascolto almeno a chi ha dato prova di lealtà e affetto.
Pochi, a dire il vero, ma imbattersi in una certa tipologia di esseri umani, quasi sempre simili, denota chiaramente la mia incapacità a tenere a distanza persino chi si è presentato con un biglietto da visita che pareva quello omaggio per un circo di periferia.
Chi ci insegna ad avere rapporti proficui e sereni con le persone che incrociano il nostro cammino?
La famiglia in primis, certo, ma non ho intenzione di far psicologia da due soldi perché provare un fortissimo interesse per una scienza non vuol dire esserne padroni.
Quel che so io è patrimonio di tutti e, del resto, non mi interessa salire in cattedra e pontificare.
Piuttosto, vorrei essere capace di iniziare a curare le mie ataviche ferite, per poi ricostruirmi con solide fondamenta.
Ci sto lavorando da un pezzo e penso che l’operazione durerà tanto, ma ho le dritte giuste: devo solo imparare ad applicare la teoria alla pratica dei miei giorni spesso arrabbiati e confusi, lasciandomi scivolare addosso bugie, mistificazioni, falsità di ogni genere.
Io stessa non sono perfetta, va da sè, quindi alla costruzione di mura fortificate devo aggiungere l’esercizio costante che possa consentirmi di imparare a scorgere e accogliere quei gesti sinceramente affettuosi che ho sempre rifiutato per paura di soffrire ancora e ancora.
Un margine di rischio c’è sempre, qualunque cosa si decida di fare, ma le tende sterili, purtroppo, servono solo a chi ha problemi di immunodeficienza.
La mia casa è qui, a due passi dalle mie elucubrazioni notturne.
Forse basterebbe davvero poco per avvicinarsi, aprire la porta ed entrare.
Lo so bene, ma non sono ancora pronta.
© Nicoletta Erre, 2016