Ingredienti [9] di Antonella Zanca

© ph. A. Zanca

LA MELANZANA

C’è un cortile.
Il pavimento è di cemento livellato, il grigio è scuro, ma è l’ombra del pergolato, da dove spuntano grappoli d’uva nera, che dà la giusta luce all’angolo di mondo che per la vecchia signora è l’unico orizzonte, giorno dopo giorno.
La bella stagione aiuta il suo umore, il mese d’agosto è la sua festa: ogni settimana famiglie diverse, giovani ragazzi, bambini e anche cani, attraversano quel pezzetto di mondo che negli altri mesi vede solo nulla, silenzio, lo spazio del cortile dedicato ai piccoli motori che suo figlio deve riparare.
Capisce, la donna, che le feste vanno onorate, che deve ricordare le cose belle per tutti quei mesi che potrà guardare solo dalla finestra.
Lo sa, che è fortunata. Boris e sua moglie, della quale dimentica sempre il nome, si occupano di lei, l’aiutano a scendere dalla sua stanza, l’aiutano a lavarsi e le preparano da mangiare, anche qualcosa che le piace, ogni tanto.
Ma non hanno fatto bambini e a lei i bambini mancano.
Non si possono sostituire i bambini: grida, risate, pianti.
Lei ha l’orto, a tenerla occupata, ma l’orto non parla.
Tutt’al più è lei, a parlare all’orto. Lo sa che i suoi acuti fanno ridere i vicini, ma lei non li sente, è un po’ sorda e le va bene così.
Stasera c’è quella coppia con il neonato; sua nuora le ha detto che ha otto mesi e che la notte spesso piange, hanno tutti paura che gli altri inquilini si lamentino, la casa da affittare li aiuta per tutto l’anno, quando il turismo non è certo presente.
Turismo. Lei non sa neppure cosa sia, è vissuta tutta la vita sull’isola, tra ulivi, viti, orto e pesce, quello che pescava il suo bell’omone, altro e forte. Chi l’avrebbe detto che l’avrebbe lasciata sola? E pensare che sua mamma l’aveva trattata malissimo quando le aveva annunciato che voleva sposare l’uomo grande della casa rossa. Ma come, un uomo più giovane? Aveva solo un anno meno di lei, ma non stava bene, le signorine di un tempo gli uomini se li sceglievano vecchi. Lei lo scelse per le spalle e per gli occhi e per come rideva quando stavano vicini.
Si illudeva di stare insieme all’infinito. Non fu così, ma suo figlio gli assomigliava così tanto che a volte lo chiamava Goran. Lui faceva finta di niente, ma lei lo vedeva che erano tutti preoccupati.
Stava invecchiando e voleva sentirlo, quel bambino.
Eccoli, quei due ragazzini. Giovani e sorridenti. E il piccolino, guarda come sgambetta.
La donna iniziò a parlare. Agitava mani, braccia, lo scialle di pizzo; indicava l’orto e le verdure, ma i ragazzi non capivano. Doveva farsi aiutare da sua nuora, ora la chiamava, ma non ne ricordava mai il nome.
“Adesso urlo”, pensò. E subito corse fuori la donna più giovane e spiegò ai ragazzi, spiegò chissà che, che lei non capiva, ma riuscì finalmente ad accarezzare quelle gambe grassocce e ridere, ridere, ridere.
Riuscì anche a dire: <<patlidžan!>> e la nuora prese una melanzana e un pomodoro e non la finiva più di chiacchierare e i due ragazzi non smettevano di sorridere e annuire.
Lei, quando se ne andarono, cominciò a tagliare le fette lunghe e sottili, una di melanzana, una di pomodoro e a metterle nella teglia, con l’olio, il basilico, le mandorle, come le aveva insegnato la nonna.
E intanto rideva, rideva al pensiero del bambino che forse sarebbe tornato, a trovarla, che la prossima volta lo voleva tenere un po’ in braccio, da troppo tempo non cantava una ninna nanna.

© Antonella Zanca, 2017

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