Hangover [9] di Roberta Lepri

© ph. estratta da Pinterest

QUELLA COSA SENZA NOME

Sei dietro il vetro della finestra, con il naso appiccicato che fa l’alone di vapore. Respiri l’odore del tuo fiato, che sa del vino, del pane e dello zucchero che ti hanno dato a merenda. Per cena invece non hai voluto niente. Hanno insistito ma tu niente. Sei stata scortese a tavola.
Ti sei alzata per andare ad attaccare il tuo naso al vetro della finestra come se fosse l’unica cosa indispensabile da fare. Da quel punto puoi vedere i fari delle auto che arrivano. Quelli che ti interessano hanno una forma particolare, sembrano occhi cinesi, lunghi e stretti.. Tu li vedrai e il tuo cuore farà le capriole. Scenderai correndo le scale e sarà tutto finito.
Attendere è quella cosa necessaria, e a te chiude lo stomaco come una mano stretta a pugno. C’è  una specie di magia che solo tu conosci: se resti lì davanti, ferma fermissima immobile, loro tornano. Tu però hai aspettato e loro non sono tornati. Forse non sei stata abbastanza brava. Forse non sei stata abbastanza ferma.
La tata ti sgrida e dice che poi quando mamma torna glielo racconta che non vuoi mangiare. Anche quando torna babbo, aggiungi tu.
Poi vorresti gridare i loro nomi vicini alla frase “quando tornano”, seguiti da un punto interrogativo ma ti vergogni.
Hai cinque anni e sei grande. Non devi fare le bizze. Non devi piangere. E infatti tu non piangi, aspetti.
In bocca il sapore del vino a tenerti compagnia.
Le gambe formicolano un poco ma rifiuti di sederti. Chi è questa gente, non è la tua famiglia. La tua famiglia non c’è e loro sono degli estranei, anche se li conosci.
Quando i tuoi torneranno dirai che sei stata bene, perché sei bugiarda.
Perché non vuoi ferirli. Perché in fondo è un po’ anche vero, in campagna ci sono i pulcini e i maiali a cui fare dispetti. C’è il filo elettrico del recinto da toccare con il piede che ti fa fare un salto indietro con i capelli tutti dritti. Anche i grandi annaffiatori del campo del granturco di giorno sono meravigliosi, ed è bellissimo starci sotto in agosto e farsi gettare a terra nel fango per poi vedere la faccia sconvolta della tata.
Poi però viene la notte.
E non scende subito come tirare una tenda scura. Viene giù poco a poco come la goccia del miele, questa cosa che non sai come chiamare. Tu sei la mosca che si è sbagliata ad avvicinarsi e ora ci crepi dentro.
La tata ogni tanto la chiami mamma. Lei è paziente. Ti dice Io non sono la tua mamma.
E te lo dice ogni volta, senza stancarsi. Certe volte ti esce proprio spontaneo.
Altre lo fai apposta, così lei ti risponde di no con quella faccia rugosa e un po’ triste.
E tu sei contenta che la tua mamma sia un’altra, quella bellissima che lavora un sacco e che nel fine settimana ha bisogno di relax e di andare a ballare e di distrarsi col babbo. Quella bellissima, non questa che ha le mani ruvide e odorose di candeggina, la sola che hai, e che ti porta a dormire con sé e manda il marito in un altro letto. Via, via, io sto con la bimba altrimenti piange, piccinina, se si sveglia ed è sola. Si è addormentata con il naso contro il vetro, ora la spoglio e la metto a dormire.

Lei non lo sa che non è vero. Tu sei ancora di là, in piedi, immobile, che aspetti.

© Roberta Lepri, 2017

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