NULLA DI PERSONALE
È maggio. Scendi dal treno e mi baci. Perché lo fai prima di parlare, di sapere qualsiasi cosa di me. Non è normale baciare una sconosciuta. L’unica documentazione della nostra prima giornata è una foto con il nome di una strada. Lo so che pare inventato ma non è colpa nostra se pranziamo in via dell’amore. Dalla finestra di fronte – comunque – un cartello scritto a mano ci avverte: Carpe diem.
Giugno. Mi mandi una tua foto sdraiato sul letto, spossato dall’afa. Si vede solo il torace e un pezzo di gamba.
Luglio, c’è il concerto di Fresu. Ho comprato due biglietti il giorno dopo averti conosciuto. Ho pensato che se non ce la fai ad arrivare uno lo butto. No, lo brucio poi mangio la cenere. Ma i musicisti portano fortuna. E poi subito dopo arriva il mio compleanno: cantuccini e vin santo per una festa bellissima, in cui tu sei il solo invitato.
Agosto al Giglio, e il primo distacco. Con quaranta gradi fa freddo e nascono due piccioni sul balcone. Scrivo molto, l’ansia mi divide in due: una metà sta con te e l’altra ti aspetta. Con la fine del mese tutto torna normale, a parte me. Peccato non aver scattato una foto mentre rubiamo fichi sulla strada dei Laghi.
A settembre scopro che sei uno scultore. Hai talento. Non scolpivi più da anni, dici. Mi prendo il merito della tua arte risorta.
Che mese triste, ottobre. Lo salto.
Ho una tua foto a novembre. Sei in accappatoio mentre lavi i piatti. Espressione seria e concentrata. Non so se ti ho mai detto quanto mi piaci. Quanto c’è di me in te.
Dicembre e gennaio, chissà come riusciamo a passarli. L’amore è una parabola e noi siamo quasi alla sua fine. Le nostre frasi diventano sempre più brevi. La tristezza ci attraversa di continuo.
Probabile, ma a febbraio ci ritroviamo comunque a Firenze. E a quanto pare, Santa Maria Novella l’hanno costruita per noi.
Marzo, i miei viaggi e i tuoi viaggi. Ti faccio una proposta: se mi dai la tua rabbia, io ti cedo la mia tristezza. Ma tu non vuoi mai fare a cambio. Ed è in questo modo che si precipita, senza paracadute. Proprio quando si crede di essere felici.
E così arriva il mese delle scadenze, e ha una contabilità impeccabile. Ormai siamo noi che stiamo per scadere, è chiaro. Noi ad essere crudeli, non aprile. Cerco di rimandare, mi nascondo, mi faccio piccola. Per non contare, smetto perfino di respirare. Ma devo tirare le somme. Quello che siamo e quello che eravamo, la differenza è enorme. Non c’è da capire o da accettare niente. È così e basta. Guarda, ti dico. Parla. Ma tu non lo fai. Per ventisei ore ventisei minuti ventisei secondi riesco a non pensarti. Sfilo il tuo anello dal dito e metto via gli orecchini. Ti mando lontanissimo. Da lì, con un balzo, torni.
Ed è di nuovo maggio. Forse a te sembrerà normale ma io a noi due insieme non mi sono ancora abituata. Provo questa cosa che non so descrivere. Come andare avanti e indietro in un attimo, dentro ogni cosa. Sofferente e felice. Sballata. Attento, perché magari oggi quando ti vedrò avrò sul viso un’espressione strana e non riuscirò a camminare diritta. Qualsiasi cosa farò, tu scendi dal treno e baciami subito. Tienimi stretta e rimetti in linea i miei passi.
Ci sono hangover che non hanno bisogno dell’alcol. Il mio dura da un anno esatto.
© Roberta Lepri, 2017