VACANZE ROMANE
Di Roma non ricordavano quasi niente. Luca la tosse di Mara, alla notte – si era beccata l’influenza proprio in quei giorni rovinando la vacanza a tutti, e papà e mamma restavano a casa con lei a turno – e poi l’alluce nero di un santo, tempeste di flash all’interno di una chiesa buia, le pozzanghere nei viali ghiaiosi del parco dove lui e papà avevano affittato le biciclette e l’ultimo giorno, prima di salire sul treno con gli zaini in spalla, la perdita del coltellino svizzero che avevano dovuto depositare nel bidone all’ingresso della basilica da visitare al volo e non era stato più ritrovat; Mara la stranezza di essere malata nell’appartamento prestato da un collega di papà dove tutto era diverso da casa sua, dalla tazza di latte fumante che la mamma le accostava alle labbra al materasso gibboso del letto pieghevole, ai rumori nel dormiveglia della febbre, rintocchi di un orologio oltre la parete, strisciare di pneumatici sull’asfalto bagnato giù nella via Flaminia in una notte di pioggia, e poi il passare lentissimo del giorno culminante nel tramonto che arrossava il cornicione del palazzo di fronte. Quando debole e imbacuccata fino alle orecchie si alzava per trascinarsi in bagno, le tracce del militare, ora via in licenza, che aveva lì una stanza in affitto le ondeggiavano intorno come immagini subacquee. Il pennello da barba riflesso nello specchio sopra il lavabo. Nell’ingressino i manubri da sollevamento pesi. E quel libro gettato sul divano tra un mucchio di riviste di motociclismo, che aveva preso in mano quando sentendosi meglio si era messa a sedere rannicchiata tra i cuscini. Aperto su una poesia che s’intitolava amore ma poi parlava di carcere, sogno atroce, male in tutto il corpo proprio come sentiva lei. Parole che avevano preso a pulsarle in testa infettando il dormiveglia, mischiate a quella strana figura, fluttuante da un altro secolo, apparsa tra le foto che la mamma le mostrava scorrendo lo smartphone, Luca che faceva le boccacce in cima a una scalinata, fontane e cavalli alati, selfie di Luca e mamma con cono gelato.
E questa signora chi è?
La mamma l’aveva guardata negli occhi, sorpresa. Chi?
Ma quella lì seduta, col cappello.
La sua mano fresca sulla fronte. Il suo fiato a sfiorarle i capelli. Mettiti giù e dormi un po’, hai la febbre alta, le sussurrò rincalzandole le coperte.
Ma lei, sveglia, lucida, tesa, sapeva che non era la febbre.
Era cominciato così.
© Daniela Scudieri, 2017