Piccole storie

FINO AL CUORE

“Tutte le strade che conducono al
desiderio del cuore sono lunghe.”
Joseph Conrad, La linea d’ombra

«Guardami.»
Meglio di no, davvero.
Tengo gli occhi bassi perché cerco la mia strada, che non è una strada come tutte le altre. No. È la mia strada. E se alzo gli occhi mi distraggo, mi lascio trasportare dal flusso della vita che mi scorre a fianco. Perché io di mio sarei un tipo curioso, uno che va al cuore delle cose. Per dire: un Natale, mamma – io sono cresciuto da solo con lei in una grande casa piena di mobili enormi. Io e lei ci aggiravamo per le stanze come due lillipuziani nella favola sbagliata – mi regalò una macchinina e una bambola. Disse che se volevo sopravvivere in un mondo in cui a ogni uomo corrispondevano sette – dico sette! – donne, era bene che cominciassi subito a conoscere anche ciò che divertiva l’altra metà del cielo.
Così, di fronte avevo macchinina e bambola. Non esitai. Afferrai la bambola – una cosa di plastica dalle forme sinuose e intriganti, con lunghi e stopposi capelli biondi. Una cosa che somigliava a zia Betty, ma più in bello – e cominciai a esplorarla. Via la gonnellina, via la camicetta, via le scarpine con il tacco alto, via una gamba, via l’altra, via un braccio, l’altro. Via la testa con i suoi stopposi capelli paglierini. Mi restò un tronco dalla vita stretta e il seno abbondante. Lo guardai a lungo, poi lo sguardo scivolò sulla testa decapitata della bambola. Aveva un viso dai lineamenti aguzzi, labbra carnose e grandi occhi azzurri dall’espressione vacua. Proprio come quelli di zia Betty. A essere sincero, un po’ meno vacui.
Guardavano attraverso me, come fossi trasparente o in un altro posto. Mi sentivo come se dei due la bambola fossi io. Presi tra le mani ciò che restava del corpo di quella donna in miniatura, afferrai un seghetto e tagliai il tronco in due. Ci restai male perché dentro non c’era niente, assolutamente niente. Un corpo vuoto, senza cuore.
Mamma quel giorno mi sgridò. Di fronte allo scempio della bambola mi disse, con voce tagliente, che non dovevo rifarlo mai più perché non era quello il modo per arrivare al cuore delle cose, che non era necessario distruggere e vivisezionare per capire. Bastava osservare, concentrarsi e far lavorare il cervello. Risposi sì mamma e seguii il suo consiglio.
Ma più osservavo meno mi concentravo e invece del cervello mi veniva voglia di far lavorare le mani. Allungarle su quei corpi che si muovevano davanti a me e poter vedere cosa avevano dentro.
Così, per non cadere in tentazione e non dispiacere a mamma, tengo gli occhi bassi e cerco un’altra strada per sapere cosa c’è nel cuore delle cose. E delle persone. Se tengo gli occhi bassi non corriamo alcun pericolo.
Perciò non chiedere “guardami”, o mi viene voglia di farlo davvero. A fondo. Fino al cuore.

©Barbara Garlaschelli, 2017

Condividi: