LA MIA GRAN TORINO
È bella Torino in ottobre, sul far della sera.
Arrivare in città è lasciare l’abbraccio tiepido del treno per un altro abbraccio, profondo e muto.
Stretti, l’uno contro l’altra siamo due parti dello stesso intero: un vaso prezioso ma sbreccato, sfasciato, che cerchiamo di tenere insieme con una mistura di sudore, saliva e promesse che sappiamo false nel momento stesso in cui le partoriamo.
Ogni volta seminiamo speranze che non costano nulla, se non un altro graffio, profondo, là dove non si vede a occhio nudo.
Siamo mani forzatamente conserte che tremano leggermente nell’attesa, occhi che scandagliano reciproche gelosie celate dietro freddi scambi di cortesie mentre sorseggiamo dell’Aglianico dallo stesso bicchiere.
Siamo acqua che scorre, dalla stessa sorgente. Ci alziamo, vaghiamo senza meta per la città notturna seguendo il richiamo antico del fiume.
E poi siamo mare, in burrasca, con la furia di strapparci di dosso l’odore dell’altro, l’estraneo, di ridisegnare mappe di nei e cicatrici, riconquistando terreno di respiro in respiro.
Siamo attacco sferzante e capitolazione, una guerra di trincea che terminiamo sognando sogni contigui.
Ancora una volta.
Oggi sei mia.
Oggi sei mio.
Sempre.
Ancora una volta.
Per l’ultima volta.
© Maria Elena Poggi, 2016