IL ROMANZO DEL MAGISTRATO
Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.
Capitolo 29
Il condizionatore sibilava aria fresca nello spazio candido dell’ambulatorio, dalla finestra penetravano voci confuse.
– Ma sì, il tizio biondo dell’anatomia patologica, sai quello che ha la relazione con l’ausiliaria dell’urologia?
– Non so, quel medico dell’ambulatorio S4 mi ha detto di aspettare ma è più di un’ora che non vedo nessuno.
– Lo adoro, grande ginecologo ma arriva sempre trafelato, con il casco della moto in mano, in ritardo di almeno mezz’ora.
– Cosa ti ha prescritto? L’ecografia o la mammografia?
– Bisogna sostituire il pezzo del lettino della ginecologia, ma in Germania dormono. Lo aspettiamo da due mesi.
Sistemò qualche documento, controllò la stampante e premette il pulsante “libero” sulla scrivania, la porta si aprì.
– Numero dieci, ambulatorio ventisette.
La voce metallica dell’altoparlante chiamò la paziente successiva. Entrò una donna giovane e sorridente, i capelli corti in un taglio disordinato e aggressivo. Ebbe la sensazione di conoscerla, l’aveva già vista ma non in ambulatorio: doveva averla incontrata di recente in un luogo diverso.
– Buongiorno, dottoressa.
Le sorrise e tese la mano.
– Buongiorno, come sta?
– Bene, grazie. Lei come sta?
Lei come sta. Di nuovo. Era la decima visita e altre nove volte aveva ricevuto, dopo le formalità iniziali, le condoglianze tardive per la morte di Riccardo: doveva rispondere e attendere due o tre secondi, il commento sulla strage sarebbe arrivato. Ma non era colpa dei pazienti, funzionava così e basta.
Eppure fu proprio l’attentato ad accendere la luce nella sua testa: la donna era la bionda che aveva incontrato nel corridoio di Forti, l’aveva incuriosita ed era sparita nel nulla! Solo i capelli erano diversi, e come era possibile? Biondi, disordinati e corti per la ricrescita dopo la chemioterapia quelli che vedeva ora, vaporosi e lunghi come appena spazzolati quelli della donna che stava per chiederle qualcosa nel corridoio. Ma non stava sbagliando: era la medesima donna. La donna nel corridoio di Forti poteva essere una gemella, ma che coincidenza! Ed era sparita all’improvviso, giusto il tempo di voltarsi per rispondere alla chiamata e non l’aveva più vista. Senza che ci fossero porte a giustificarne l’assenza. Era a meno di un metro da lei, poi.
– Fermati. Stai lavorando. Aspetta.
La voce interiore la bloccò e una scossa, un brivido freddo la riportò al presente. Pensò alla lettera che aveva in tasca e avrebbe spedito al termine delle visite, con la mano la sfiorò: era tremenda e rassicurante, un pezzo di vita che non avrebbe potuto nascondere.
– Sto bene, grazie per l’interessamento. Si accomodi.
La donna sedette e porse alcune buste.
– Le ho portato gli esami che mi aveva prescritto durante l’ultima visita, otto mesi fa.
– Grazie. Come si sente?
– Mi sento molto bene. Ho superato l’intervento chirurgico e le terapie successive, anche se le ho terminate da poco e mi sto riprendendo da qualche effetto collaterale.
Alzò gli occhi per indicare i capelli. Non volle insistere: la certezza che fosse la stessa donna che aveva incontrato non la abbandonava, ma non era possibile. La chemio era durata sei mesi, i capelli di solito cadono al secondo ciclo. No, c’era un errore. Poi quale relazione avrebbe potuto avere con il luogo, il magistrato, il tribunale? Sfilò gli esami dalle buste, sistemò le radiografie sul diafanoscopio e le esaminò.
– Molto bene. Sono eccellenti, vanno proprio bene. Ha avuto problemi, ha dubbi che vuole espormi?
– Beh… No, direi di no. Ma no.
– Sicura?
– Sì, beh… Sì, certo, sì.
Un’esitazione palese, e il corpo che si era spostato appena più indietro.
– Allora si accomodi sul lettino.
La donna si spogliò, si distese e respirò facendo rumore. Fece fatica a trovare una posizione.
– Speriamo, scusi se sono sudata ma quando entro qui mi vengono certi pensieri.
– Non si preoccupi del sudore, sudiamo tutti. E tutti abbiamo un po’ di paura quando dobbiamo farci visitare, sa?
– Non mi dica, anche lei?
– Uh, noi medici siamo i peggiori. Coraggio zero, se siamo noi a fare i controlli.
Iniziò a visitarla sorridendo. Annuiva piano mentre la toccava: la donna scrutava ogni movimento.
– Le faccio male?
– No, assolutamente.
– Abbiamo quasi finito. Può appoggiarsi a me con le braccia? Stia rilassata, si abbandoni completamente.
Avvertì il contatto sulle spalle. Le mani stringevano e tremavano. Indugiava su ogni punto, visitava e restava ferma perché l’energia ritrovasse l’equilibrio.
– Stia tranquilla. Sta andando bene. Sono davvero soddisfatta!
Le regalò una carezza sul viso, la invitò a rivestirsi. La donna si vestì rapida e sedette di nuovo davanti alla scrivania.
– Pensa che abbia molti rischi per il futuro?
Forse era quella la domanda che tratteneva dall’inizio. Perché era ovvio che ci fosse una domanda: era protesa verso di lei, incerta, pronta a chiedere ma impaurita. Forse aveva figli piccoli e sperava di sentirsi dire che li avrebbe cresciuti senza che la malattia la fermasse.
– Il tumore è stato asportato in stadio iniziale. Le terapie che ha ricevuto dopo la chirurgia la stanno aiutando a diminuire ulteriormente un rischio che era già piuttosto basso.
– So che nel mio futuro qualche rischio c’è. Mi sono affidata a lei e sono sicura che mi aiuterà sempre.
– La ringrazio per la fiducia. Andremo avanti insieme, andrà tutto bene.
La donna ripose gli esami in una cartelletta di plastica trasparente ma non accennò ad alzarsi. C’era altro.
– Prima di salutarla vorrei dirle una cosa.
L’esitazione a questo punto era evidente. Fece un gesto con la mano per incoraggiarla.
– Si ricorda il motivo per cui mi sono rivolta a lei? Proprio a lei e non a un altro chirurgo?
– Allude alla prima visita con me? Quando le ho indicato la necessità di intervenire?
Diede una rapida occhiata al computer che riportava i dati anagrafici. Nell’indirizzo di casa non trovò barlumi di certezza, scorse le righe più sotto. E vide la professione: magistrato.
– Ma certo, mi scusi! Ora ricordo. Lei è una collega di mio marito. E’ stato Riccardo a consigliarle di venire da me. Mi ha parlato di lei e ci siamo incontrate, l’ho operata subito dopo. Mi perdoni, mi vergogno di non averla riconosciuta, di solito ricordo tutto o quasi.
– Non si preoccupi, capisco bene. Comunque sì, sono proprio io. Ero un’amica di suo marito.
Un’amica di Riccardo e la donna che era comparsa e sparita, con i capelli lunghi e vaporosi, appena prima che incontrasse Forti. Attese altre parole, ma la donna tenne lo sguardo basso per un po’. Solo dopo un lungo silenzio riprese a parlare.
– Riccardo mi ha salvato la vita, mi ha convinta a fare il controllo e scoprire il tumore, poi quando avevo deciso di non fare niente e lasciare andare le cose per il loro verso mi ha spinta a incontrare lei. Perfino per la chemio ho avuto bisogno che mi stimolasse, di mio avrei rinunciato. Gli devo la vita, e la devo anche a lei. Per questo è un po’ complicato, sa.
– Complicato?
– Riccardo era un persona speciale. Quando chi ti salva la vita muore entri in una condizione che non puoi augurare a nessuno. Sai che sei viva perché quella persona ha agito e ti ha salvato, ma quando avrebbe avuto bisogno di aiuto tu non c’eri.
– Se anche ci fosse stata non avrebbe potuto salvarlo.
– Lo so, ma la questione non cambia. E’ irrazionale. Ogni mattina mi vedo nello specchio e so che questo viso è ancora in mezzo alla gente perché Riccardo Conti l’ha salvato, ma io non ho salvato Riccardo Conti: è un ragionamento binario che non prevede se e ma, non ha vie collaterali.
Non poteva vivere con un senso di colpa immotivato e folle: glielo spiegò, provò a dirle che Riccardo non avrebbe voluto che si tormentasse per una morte inevitabile. La donna annuiva, sorrideva e a tratti lasciava scendere qualche lacrima: aveva davvero voluto bene a Riccardo e forse era vero che il senso di colpa era legato a a una condizione impossibile da intuire per chi non l’aveva vissuta. Se qualcuno ti salva la vita ti lega per sempre.
– Il fatto è, dottoressa, che adesso potrei uscire da questo ambulatorio risollevata e commossa evitando di raccontarle la parte più difficile di tutto questo. Ma non posso farlo. La cerco da mesi, ho una confidenza che devo farle e so che non le piacerà.
– Mi dica.
– Riccardo era un amico speciale. Per tutti, ma soprattutto per me.
– Speciale. Certo, era speciale.
– Capisce cosa intendo?
Aspettò molto prima di risponderle.
– No, forse no.
– Mi ero accorta del nodulo al seno ma non osavo farmi visitare per paura che si trattasse di un tumore maligno. Fu Riccardo a convincermi a fare l’ecografia e la mammografia, poi a venire da lei: diceva che è un medico eccezionale, ma anche una donna comprensiva. Sensibile. Aveva ragione.
– Mi fa piacere sentire questo.
– Quello che è successo è terribile. Non avrei mai pensato che lo uccidessero davvero.
Poi lo sguardo della donna cambiò. Parlò in fretta, arrossì e aumentò progressivamente il tono della voce.
– Insomma, ci giro intorno e non arrivo a niente. Non potrei continuare a venire da lei dopo tutto quello che è successo se non le dicessi sinceramente che la mia amicizia con suo marito era… Beh, molto affettuosa. Ho bisogno di lei, nel tempo ho imparato a vederla come il mio medico, il punto di riferimento. La stimo moltissimo, con me è stata sempre meravigliosa. Per questa ragione non posso tacere. So di darle un dolore, ma è giusto che sappia che inizialmente sono venuta da lei perché frequentavo molto suo marito.
Restò immobile, non controllò una contrazione al viso: la sentì arrivare e non riuscì a scacciarla.
– Sta dicendo che eravate amanti.
– Credo di sì. Mi dispiace, dottoressa.
Strinse una penna, sospirò.
– Ormai sono successe tante cose.
– Suo marito era una persona stupenda. La amava molto e parlava di lei come pochi uomini sanno fare, a me credo abbia voluto bene e ha fatto tantissimo per aiutarmi. Era attento agli altri.
Bloccò le risposte che avrebbe potuto dare: Riccardo era Riccarda, e basta.
La donna la stava fissando con sincero dolore negli occhi e la speranza che capisse. Riccardo l’aveva convinta a curarsi ma quando aveva dovuto affrontare la propria malattia si era arreso subito. Non aveva torto: la malattia era diversa e le prospettive anche. Però si era negato la possibilità di tentare e le aveva negato la consolazione di aiutarlo e stargli vicina.
Un brivido freddo lungo la schiena le annunciò l’arrivo di Riccardo.
– Ti ho negato uno strazio, ne avevi avuto abbastanza.
– Non intervenire adesso, mi hai tradito anche con lei.
– Non ti ho tradito. Guarda l’amore nella sua verità.
Interruppe lo scambio mentale con lui, si chinò avanti verso la donna.
– Era attento agli altri, è vero. Mi rendo conto che per lei sia stato difficile mettere a rischio il rapporto con me raccontandomi queste cose. Le ho prescritto la prossima visita tra sei mesi. Vedrà che andrà tutto bene. Non dovrà portarmi esami di controllo.
Si alzò, tese la mano e sorrise. La donna annuì, non disse altro e si avviò verso la porta. Poi Gianna la richiamò.
– Signora, adesso che ci penso avrei un favore da chiederle.
– Mi dica. Tutto quello che posso fare.
– Conosce il magistrato Alessandro Forti?
– Certo, lo incontro oggi pomeriggio. Si sta occupando anche delle indagini su Ricc… Su suo marito.
– Ho una busta per lui. Pensa che le sarebbe possibile consegnargliela?
Prese dalla tasca il plico bianco con l’indirizzo di Forti scritto in nero, glielo tese. La sua firma era stata apposta su tutta la lunghezza della chiusura. Fu a questo punto che accadde: la donna tese la mano verso di lei e assunse la posizione identica, l’atteggiamento esatto dell’incontro nel corridoio. I capelli erano diversi, ma ogni altro dettaglio era come lo ricordava, vestiti compresi. La donna che stava per chiederle qualcosa era lei, così come la vedeva ora.
– Certo, la consegnerò oggi stesso.
Quando fu sola spinse il pulsante “occupato” per bloccare la porta, si perse ad ascoltare le voci che arrivavano dal cortile.
Ormai era vano tentare di riflettere sulle stranezze e le coincidenze. Se avesse provato a raccontare a qualcuno avrebbe ottenuto un’occhiata di compatimento e una pacca sulla spalla. Giuliano le credeva oppure aveva deciso di amarla come era e rassegnarsi a una dose di follia. Comunque non c’era più niente da decidere: la vita aveva preso una strada che avrebbe portato qualcosa. Con la mano strinse in tasca un’altra busta, più piccola, che portava l’intestazione dell’ospedale. C’era scritto “riservata personale, confidenziale”, e “contiene referti”. Qualunque cosa fosse accaduta era pronta ad andare avanti. Anche da sola.
[ Continua…]
© MariaGiovanna Luini, 2016