APT, NEL CUORE DEL LUBERON
Nel XVII secolo, Madame de Sévigné, in una lettera alla figlia, descriveva la città di Apt come un “chaudron à confiture”, un calderone di marmellata. E così doveva sembrare la cittadina ai visitatori di allora, perché Apt era animata da decine e decine di laboratori, più o meno grandi, dove i frutti del fertile Luberon (meloni, ciliegie, castagne, pere, clementine, fichi, pesche) venivano trasformati in morbide marmellate o cristallizzati in bocconi di elegante dolcezza.
Tradizione antica, che affonda le origini addirittura in epoca medievale (quando al posto dello zucchero veniva utilizzato il miele) e di cui è rimasta ampia documentazione.
Dopo la sua elezione a papa, nel 1342, Clemente VI fu ricevuto dal cardinale Annibale da Ceccano. Un cronista fiorentino dell’epoca riporta come, al termine del ricevimento, fossero stati portati in tavola due alberi interamente guarniti di frutta candita, opera degli abili confiseurs aptésiens.
Oggi i laboratori artigianali e le confiseries rimasi sono pochi, ma durante il mio ultimo viaggio in Provenza, sono riuscita a visitare La Confiserie Le Coulon.
Per una decina di minuti, mi è sembrato di fare un viaggio a ritroso nel tempo: mobili in stile, un enorme e antico calderone in rame, frutti canditi scintillanti come gioielli e assaggi golosi che hanno messo voglia di comperare perfino a me, che non amo i canditi.
Ma tant’è: con due dita ho afferrato una scorzetta di limone, resa granulosa dallo zucchero. Sentirla sciogliersi sulla lingua e contro il palato, inspirarne l’aroma pungente e decidere di mettere mano alla borsa per portarmi a casa un sacchetto di sole del Luberon è stata la medesima cosa.
Nel salutare la proprietaria, cortese e paziente con il mio francese scolastico e insicuro, mi è venuto spontaneo paragonarla alla Juliette Binoche di Chocolat, perché chiunque riesca a trasformare i doni della natura in qualcosa di sublime, ha davvero un tocco magico nelle mani.
© Viviana Gabrini, 2016