IL ROMANZO DEL MAGISTRATO
Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.
Capitolo 27
Lo vide cadere a terra: era un oggetto nero, piccolo, che fece rumore quando colpì il pavimento. Si chinò per osservarlo da vicino, lo raccolse. Un telecomando. Premette un pulsante, un suono acuto e stridulo precedette il rumore dello scatto della serratura. Alle sue spalle un enorme cancello scuro iniziò ad aprirsi e tanta gente si fece strada, uomini che non conosceva correvano verso di lei mentre tentava di richiudere; le dita si affannavano a premere tasti che non funzionavano. Una mano afferrò la sua e strinse. Non alzò lo sguardo, riconobbe la fede al dito e le unghie troppo corte. Riccardo la stringeva, le impediva di muoversi. Urlò, cercò di liberarsi. Quando aprì gli occhi si aggrappò alle lenzuola, il vuoto rischiava di farla cadere.
– Cosa succede?
Giuliano era in piedi accanto al letto: con la camicia in una mano, floscia, la fissava a palpebre semichiuse.
– Tu cosa… Chi sei?
– Come, chi sei? Sono io, guardami! Hai avuto un incubo. Tanto per cambiare.
Cercò il bicchiere sul comodino, lo riempì di acqua e lo appoggiò sulla fronte: il contatto con il vetro la fece sentire meglio.
– Scusa, ho sognato ma non ricordo cosa. Cosa fai qui?
– Cosa faccio qui. Fantastico. Ottima accoglienza.
– Mi dispiace. Pensavo fossi a casa tua, non ti aspettavo.
– Ci sono andato. Sono stato con Chiara, ho messo a letto Elena. Ho comunicato a mia moglie che ci separiamo. Sei contenta? Adesso sono da te e mi metto a dormire. Sempre che non ti vengano altri incubi, in quel caso addio sonno. Ah, dimenticavo: ho chiacchierato a lungo con mia moglie. Ex-moglie.
– E’ stato sgradevole?
– Sgradevole, sì. E’ un buon termine. Sai sempre come esprimere un concetto. Mia figlia ha ragione, sei proprio intelligentissima. Comunque spero che Valeria abbia chiaro che il matrimonio non esiste più.
– Mi dispiace.
– Non è necessario, a me non dispiace. Tu piuttosto cosa le hai detto, l’hai incontrata di nuovo senza avvisarmi. Pare folgorata sulla via di Damasco, ti ha rivalutata. L’hai picchiata, finalmente?
– Ma va. Mi è venuta voglia di vedere le mie nipoti e sono andata a casa tua, sono stata un po’ con Chiara ed Elena poi ho chiacchierato civilmente con tua moglie. Dobbiamo parlarne adesso?
– Non sarà più mia moglie, questo è certo. Cosa ti ha detto?
– Ero andata da lei perché volevo che mi spiegasse perché Riccardo non mi amava, lei doveva saperlo. Volevo capire cosa non vada in me.
– Non c’è niente che non vada in te. Mio fratello non ha mai capito niente.
Buttò i pantaloni su una poltrona e le si sdraiò a fianco. Sistemò un cuscino sotto la testa, chiuse gli occhi.
– Non pensare a queste cazzate. Vai benissimo e Riccardo lo sapeva. Dai, lascia stare. Dimmi dove sei stata oggi, avevi il cellulare spento.
– Ho anche un telefono di rete fissa.
– Sapevo che sarei venuto da te in ogni caso. Volevo vedere come stai e dormire qui. Ti dispiace?
– No, certo che non mi dispiace. Come è andata con le bambine?
– Bene. Chiara è stata molto affettuosa.
– Ed Elena?
– L’ho coccolata. Non è mia figlia.
– Non è colpa sua. E’ nata e ha diritto a un’infanzia felice.
– Ah, senza dubbio. Un’infanzia felice.
– Domani ti alzi presto?
– Non troppo. Sono stanco morto, voglio dormire un po’. E stare con te.
– Mi fa piacere. Ah, che meraviglia. Passiamo tempo insieme, non vedo l’ora.
Lui riaprì gli occhi.
– Qualcosa non va?
– Lo chiedo a te. Sei scostante, freddo. Anzi, decisamente antipatico.
– Mi dispiace. Ho litigato con Valeria.
– Questo mi era chiaro. Ma io non sono Valeria.
– Già. Beh, sono arrivato e ti ho trovata nel pieno di un incubo durante il quale chiamavi Riccardo in continuazione. Riccardo, Riccardo, Riccardo. Pensi sempre a lui. Che grandissima rottura di coglioni. Mia moglie si fotteva Riccardo, tu te lo sei scopato anche la notte prima che morisse.
Si irrigidì.
– Smetti. Era mio marito.
– Sì, era anche mio fratello e si scopava mia moglie. E già che c’era veniva a letto anche con te, cosa che a me invece è sempre stata negata. E lo sogni! Pazzesco, ti ha riempita di corna, ha fatto un figlio con un’altra e lo sogni! E’ morto, inutile chiamarlo.
– Basta!
Si alzò dal letto, rovesciò i cuscini sul pavimento.
– Resta pure a dormire, ma se credi che sia qui per raccogliere i tuoi malumori hai sbagliato. Per quello prova a rivolgerti a Marta, oppure con lei fai solo sesso? Quanto a sostegno morale ho già dato per anni con tuo fratello!
– Gianna.
– Gianna è stanca! Se vuoi restare sono contenta ma non accetto di diventare la spalla sulla quale buttare sacchi di merda! Ho già i miei casini! Vattene da qui se pensi che sia disposta a tollerarti quando vorresti spaccare la faccia a qualcuno.
Ammutolì di colpo. Non le era mai capitato di reagire così. Di certo se ne sarebbe andato. Attonito, seguiva i suoi movimenti con le labbra semiaperte e le spalle tese in una posizione improbabile. Poi si alzò e la raggiunse, appoggiò le mani alle sue spalle e sorrise.
– Che caratterino. Una belva questa cognatina! Ehi, ma non eri quella pacata e saggia? Dove hai trovato la grinta?
Le accarezzò il viso, lei si lasciò abbracciare.
– Scusami, Gianna. Ti chiedo scusa, sono un cretino. Sono entrato qui e chiamavi Riccardo, mi sono inferocito perché ho pensato che lui sia il centro di tutto, sempre. Ero geloso prima che morisse, lo sono anche adesso. Un vero idiota. Scusami.
– Non importa. Lascia stare.
– Importa, invece. Mi perdoni?
Le appoggiò una mano sulla bocca. Poi si chinò a baciarla. Fu un bacio rapido, leggero, ma si sentì scossa da un’emozione calda. Chinò il viso, si staccò da lui.
– Dormiamo. Ti è passata la gelosia? Non hai motivo di essere geloso di Riccardo, non ne hai mai avuto.
– Non ero geloso, è che… Beh, forse un po’. Più bello, interessante, fascinoso e simpatico di me. Io rigido e saggio, anche se la saggezza è un’invenzione di Valeria per ferirmi e non la realtà. Lui era capace di incantarci tutti e di farsi perdonare le peggiori cose.
– Recriminiamo in modo simile, l’hai notato? Valeria e Riccardo vivaci e attraenti, noi troppo tranquilli e monotoni. Ma sarà vero? E quanto a mio marito e al suo farsi perdonare, non direi.
Forse avrebbe potuto dirgli un brandello di verità: il biglietto che aveva trovato in tasca, e le conclusioni cui era arrivata. Perdonare Riccardo ormai andava oltre il tradimento fisico e sentimentale, non era più questione solo sua. Ma non era il momento adatto, ancora per un po’ doveva tacere con tutti. Non era sicura della fondatezza di ciò che aveva intuito, voleva riflettere e controllare che i dettagli trovassero una collocazione (almeno i dettagli che conosceva, per gli altri non esisteva speranza), non poteva lanciare accuse a suo marito e stracciare la patina di quiete che stavano stendendo sulla ferita, su un dolore tragico che li aveva devastati.
– Cosa c’è? Sei strana.
– Ma niente. E’ notte e non mi va di stare qui in piedi a parlare di roba che mi fa venire l’ansia.
La spinse verso il letto e la osservò sorridendo mentre raccoglieva i cuscini e si sdraiava, la seguì e le si strinse addosso.
– Giuliano, non so se.
La baciò, prima con piccoli tocchi lievi poi con passione, e le labbra aprirono le sue. Finse di non notare il suo imbarazzo, sfiorò i seni, la lingua accarezzò i denti. Una mano le scivolò addosso fino al centro del calore che era nato violento e umido appena l’aveva toccata. Sentì le dita cercarla, poi penetrare lente. Socchiuse gli occhi, le labbra succhiavano il viso e scendevano al collo, aumentava la pressione e rubava gemiti acuti. Quando le si stese sopra sentì la sua eccitazione, allargò le gambe e tentò di togliergli gli slip. Lui lasciò fare, morse il collo, le spalle, giù fino ai capezzoli. Le sfilò i pantaloni del pigiama, ritornò su di lei. Lo sentì addosso: premeva tra le sue gambe e non trovava ostacolo, era pronta a riceverlo. Entrò un poco, spinse gemendo; si preparò ad accoglierlo e aumentò la forza con cui tratteneva la sua schiena, le unghie quasi le fecero male. Poi ebbe la percezione del suo respiro che si bloccava.
– No!
Si staccò. Saltò fuori dal letto, lontano.
– No cosa? Guardati!
Indicò la sua eccitazione. Lui chiuse gli occhi.
– Lo so, ti voglio da impazzire Gianna ma non possiamo. Non ancora, almeno. No! Capisci? E’ da matti, questa cosa non è altro che una reazione. Cioè non so se lo è, ma non capisco. No, non possiamo ancora farlo. O non possiamo proprio, a priori. Io non lo so!
Gli voltò le spalle e si avvolse nel lenzuolo. Il calore in lei bruciava, una lacrima bagnò la federa.
– Come ti pare. Buona notte.
Con gli occhi chiusi lo seguì in silenzio mentre si muoveva nella stanza, poi lo sentì ritornare a letto.
– Prova a capirmi, Gianna Non so più niente, sono confuso. Mi dispiace tanto, non ci riesco.
© Maria Giovanna Luini, 2016