Vento d’estate
Io vado al mare vado al mare
Non mi aspettare
Mi sono perso
PROVENZA
Non c’è il mare in questi angoli di Provenza dove girovago da anni, ma ascoltavo questa canzone la prima volta che ci venni a curiosare e da allora, ogni volta che la sento, mi ritrovo in questa terra ricca di colori e profumi che tanto amo.
Qui, per me, c’è qualcosa di magico, qualcosa che mi obbliga a tornare quasi ogni estate, anche se patisco il caldo e la luce e il sole. Eppure, armata di occhiali scuri e creme solari, non riesco a stare lontana da queste colline viola di lavanda, gialle di grano e avena, rosse di ocra e verdi di ulivi.
Ho camminato sotto il sole infuocato in stradine sterrate e riarse sulla piana di Valensole, ho cercato le tracce di Vincent fra le mura di Arles e le rovine degli Alyscamps, ho bevuto litri di vino rosato delle sabbie sotto pergolati freschi e traballanti, mi sono impigrita centellinando pernod e osservando gli anziani giocare a petanque, ho gironzolato fra antiche ed austere abbazie, ho percorso lunghi viale ombrosi orlati di platani fitti e imponenti, ho fatto tappa in mille paesini di cui ho scordato il nome ma di cui ho conservato nella memoria gli odori e i colori vivi.
C’è un solo modo, per me, di vivere la Provenza ed è guidare a casaccio, perdendo me stessa e il mio tempo all’inseguimento di una suggestione o di una improvvisazione. La stessa improvvisazione che una volta mi fece ritrovare, per puro caso, davanti alla tomba di Camus, nel minuscolo cimitero di Lourmarin.
È un tempo perso speso meravigliosamente bene, stesa su un prato, all’ombra di un albero, seduta sulle rive della Sorgue a fare bolle di sapone, fra gli sguardi compassionevoli degli adulti e quelli incuriositi dei bambini. Perché il tempo, scandito dal frinire estenuante delle cicale, si dilata e i ritmi si fanno meno ossessivi. Perché in questo lembo di terra ritrovo la pace con me stessa e con il resto del mondo.
©Viviana Gabrini, 2016