IL ROMANZO DEL MAGISTRATO
Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.
Capitolo 25
Uscì nel cortile e accese il cellulare. Compose il numero di Giuliano, che rispose subito.
– Pronto, Gianna? Ma dove sei? Sono due ore che aspetto notizie, non potevi chiamare prima?
Controllò l’orologio: erano passate tre ore e mezza.
– Dio, come è tardi! Non mi ero resa conto! Pensa che ti chiamo durante una pausa! Non ho ancora finito!
– Perché? Sta succedendo qualcosa? Non è normale, dimmi come va.
– Non succede molto. Lui fa domande e io rispondo.
– Come ti senti?
– Strana. A volte mi sembra di parlare di un altro Riccardo, della morte di qualcuno che non è stato mio marito. Vorrei finire in fretta, ma non abbiamo ancora parlato dell’agguato.
– Di cosa avete parlato in tutto questo tempo?
– Della malattia, della sera prima della morte di Riccardo, della notte.
– Ah. Sulla sera e sulla notte ci sono molte cose da dire?
– Qualcuna sì.
– Cioè?
– Chiede tanti dettagli, non gli basta sapere che abbiamo guardato la televisione e dormito. Insomma, vuole sapere proprio tutto.
– E c’è altro da dire, oltre alla televisione e al dormire? Di notte avete fatto altro… Cioè, oltre a dormire cosa potreste avere fatto?
– Qualcosa. Lascia stare, dai. Ho capito che hanno sentito anche Valeria.
– Non lo sapevo, ma era logico. A me non ha detto niente, ma ci parliamo pochissimo.
– Già. Senti, rientro altrimenti non me la cavo più. Non preoccuparti, sto abbastanza bene. Insomma, ancora reggo. Ti chiamo più tardi.
Le gambe tremavano. Avrebbe preferito scappare. Era sola, ogni singola parola al magistrato ribadiva la sua solitudine. Doveva attraversare il passaggio stretto e accidentato della ricostruzione della morte di Riccardo e non aveva mani da afferrare per evitare di cadere.
– Bene, signora, grazie a lei abbiamo chiarito alcuni fatti che hanno preceduto l’agguato. Cosa è successo la mattina?
– Ci siamo alzati insieme. Come sempre sono stata la prima a fare la doccia, per preparare poi la prima colazione. L’ho sentito lavarsi e vestirsi mentre facevo il caffè e l’ho visto scendere le scale. Sorrideva. Ha sorriso molto, come la sera prima. Ho pensato che fosse contento della nostra notte insieme.
Esitò, imbarazzata. Strinse i pugni: doveva andare avanti e tirare fuori ciò che per lei era stato vero.
– Insomma, credevo fosse felice perché era stato piacevole. Abbiamo fatto colazione e ha controllato la borsa, ha guardato fuori dalla finestra. L’auto era in giardino, siamo usciti.
– Quando è uscita ha notato qualcosa di strano? Cosa guardava suo marito?
– Non ho notato niente di strano. C’erano Fabrizio e Luca. Erano tranquilli. Riccardo deve averli salutati e anche io. Sì, l’abbiamo fatto, ne sono sicura. Poi mi ha guardata.
– Lei è uscita guardando suo marito? Ricorda di averlo osservato?
– Sì, lo guardavo. O meglio… Era nel mio campo visivo, lo sentivo accanto e penso di averlo visto in volto. Ho visto Fabrizio e Luca, li ho salutati. Ho notato la macchina. Uno sguardo d’insieme. Poi sono sicura di essermi rivolta a lui, mi dispiaceva che andasse via. Erano state ore molto belle. Avrei voluto che non finissero.
– Perdoni la domanda, ma era così strano che suo marito fosse affettuoso? Che facesse l’amore con lei? Mi sembrava di avere capito che la cosa l’avesse colpita.
– Dobbiamo proprio parlarne?
– Sì, credo sia utile.
– Va bene. Non è stato il sesso a stupirmi, era normale. Abbastanza, almeno. Il fatto è che è stato molto appassionato, l’ho rivisto totalmente dedito a me. Mi voleva moltissimo, capisce? Non succedeva da tempo, era diventata una cosa più fredda e meccanica. C’è modo e modo di fare l’amore, non sempre esiste lo stesso coinvolgimento. Riccardo aveva una personalità complicata. Era vitale, energico ma poco solare. Manifestava affetto ma sapeva anche rimanere lontano per lunghi periodi oppure venire a letto con me appagando l’istinto del momento o un remoto senso del dovere, senza metterci reale emozione. Non so spiegarmi, è importante saperlo?
– Si è spiegata benissimo. Ha avuto l’impressione che, dopo qualche tempo di maggiore freddezza, all’improvviso ritrovasse la passione. Le chiedesse di fare l’amore e lo facesse in modo intenso.
– Sì. E’ esatto.
– Come se volesse dirle qualcosa?
Spostò la testa indietro con un movimento rapido, perfino l’intuizione ormai era inutile. Conosceva bene la propria sensazione. Avevano centrato il punto. Eppure non aveva voglia di suggerirgli che dal principio aveva considerato un commiato l’ultimo amore fisico con Riccardo.
– Non so. Ho pensato che avesse un rigurgito d’amore, o di senso di colpa.
– Capitava che facesse l’amore con lei in modo più focoso quando si sentiva in colpa?
– Sì. Intuivo la presenza di amanti nella sua vita proprio quando intensificava il sesso con me. Poi a volte rallentava, ma non sempre.
– Quindi se le chiedo se sia possibile che quella notte abbia sentito aprirsi il cancello in giardino lei risponde…
– Rispondo che non avrei sentito cadere un meteorite.
Qualche lampo nella testa, e idee vaghe a fuggire prima di nascere. La notte, il rantolo di Riccardo, gli orgasmi, le urla, il cancello. Il biglietto nella tasca del tailleur. Forti la fissava: rifletteva, faticava a mettere insieme. Poi lo vide scuotere la testa.
– Va bene, ci penseremo su. Adesso mi racconti cosa è successo in giardino. Prenda il tempo necessario.
Non aveva bisogno di tempo: lo voleva polverizzare, il tempo, farlo finire in fretta. Riccardo l’aveva baciata e si era diretto all’automobile, tutto era normale. La prima cosa strana era stata l’espressione del suo volto: era cambiata, all’improvviso si era voltato verso di lei. Come se avesse visto qualcosa di tremendo intorno, e alle spalle. Era terrorizzato. Spostava lo sguardo a destra e a sinistra, e dietro di lei.
– Mi ha gridato di tornare in casa. Due o tre volte. Ho cercato di capire cosa stesse succedendo: vedevo alcune persone in giardino e non capivo chi fossero. Qualcuno correva, ma Riccardo era fermo.
– Era fermo?
– Sì, a una certa distanza da me. Immobile. Gridava che dovevo andare via.
– Le ha gridato di tornare in casa? Lei invece è rimasta ferma sulla soglia, vero? E lui non si è mosso?
– Lui era fermo, io non potevo muovermi. Non riuscivo a capire. Sì, è rimasto in piedi, fermo. Sembrava che fosse spaventato per me, ma il mio cervello era lento. Volevo capire cosa lo spaventasse. Era come un rallentatore, eppure troppo rapido. Non mi potevo muovere, la voce non usciva.
Forti scrisse qualcosa e ritornò a fissarla.
– Ho sentito il rumore degli spari. Erano secchi, attutiti. Non avevo la minima idea che fossero spari, l’ho capito quando ho visto le prime ferite su Riccardo. Credo di avere visto con la coda dell’occhio Luca e Fabrizio cercare di usare le loro armi e cadere. Mio marito si agitava e mi guardava.
– La guardava?
– Sì, ha continuato a guardarmi. Chiudeva gli occhi quando veniva colpito, poi mi guardava. Una cosa straziante. Sembrava accettasse di morire cercando il mio sguardo. Oppure controllandomi. Non so.
L’angoscia la prese, violenta. Cercò di nascondere le mani che tremavano.
– Ho voluto salutarti amore, non capisci? Volevo che sentissi che amavo te, eri mia e io tuo. Un ricordo solo per te da non condividere, ti guardavo per portarti con me dove non potevi seguirmi. E ti chiedevo perdono, perdonami amore perdonami per questo. Ce la farai, l’amore è con te, abbi coraggio. Andrà a posto, stai trovando la strada. Forza, amore mio.
Possibile che solo lei riuscisse a sentirlo? Riccardo era lì, stava parlando ed era impossibile che Forti non si accorgesse.
– Come sta, signora?
Stava impazzendo, la fantasia era malata e creava mostri, fantasmi, irrealtà. E lei seguiva, andava dietro a ogni odore, ogni seme di squilibrio, stava diventando pazza. La mano di Forti la scosse, era quasi prono sulla scrivania e le aveva afferrato un braccio.
– Signora, signora! Vuole bere? Come sta? Interrompiamo?
– No! Voglio continuare. Voglio… Io… Insomma. Mi lasci, voglio andare avanti! Lo vedevo muoversi a tutti i colpi che riceveva. Erano movimenti irreali, aveva molto dolore.
La voce morì. Scoppiò nel pianto che le era cresciuto dentro, nero e brutale.
– Signora Conti, mi dispiace tormentarla così.
Lo respinse, doveva continuare a parlare. Asciugava le lacrime con una mano, singhiozzava e tagliava le frasi a metà.
– Prima di cadere mi ha guardata negli occhi. Sembrava che non cadesse mai, che fosse appeso a quello sguardo. Mi guardava e guardava e guardava. Poi è stato ferito a un occhio. Gli è esploso l’occhio, ho visto schizzare via sangue e materia solida. Gli è esploso l’occhio!
Le lacrime facevano scempio del poco trucco che aveva usato, i sussulti aumentarono. Nascose il viso tra le mani. Forti si alzò e uscì: ritornò con due bicchieri e una bottiglia di acqua. Richiuse la porta con il pulsante sulla scrivania.
– Prenda un po’ di acqua insieme a me. Stiamo fermi un minuto, poi vediamo cosa fare.
Prese il bicchiere e bevve. L’acqua era fresca, ne spruzzò sul viso. Con molta fatica riuscì a calmarsi, nel silenzio assoluto. Poi alzò la testa.
– Grazie. Vorrei andare avanti. Non sono sicura di essere disponibile a riprendere domani o un altro giorno, a meno che non sia necessario.
– Va bene. E’ sicura? Vado avanti?
– Sì.
Tacquero a lungo. Poi la voce di Forti uscì flebile.
– Quante persone ricorda nel giardino?
– Ne ricordo tre, ma so che ce n’era un’altra che non ho visto.
– E’ vero, le persone erano quattro e una ha immobilizzato lei. Possibile che non si sia accorta di essere tenuta ferma?
– No. Non riuscivo a muovermi, è vero. Avrei voluto correre da lui oppure urlare ma non ce la facevo. Ero inchiodata al terreno e senza voce.
Non ricordava le mani addosso, sapeva di averle avute ma non le aveva sentite. E non ricordava odori, era strano: l’odore di una persona era l’impronta digitale, il segno distintivo. Lo registrava in testa e non se ne andava più.
– Ho sentito male al torace e a una spalla, ma dopo. Quando sono riuscita a muovermi per raggiungere Riccardo le persone non c’erano più. Sono andata vicino a lui per vedere se era vivo e per…
– Per?
– Per tenerlo stretto l’ultima volta.
Di nuovo la morsa alla gola. Lo rivedeva per terra, i piccoli sassi bianchi rossi di sangue.
– Un occhio non c’era più. Era esploso, dio santo. E il collo era squarciato.
– Chi arrivò per primo dopo l’attentato?
– Non so. Ero confusa. Ricordo Valeria, però. Forse è stata lei ad arrivare prima degli altri.
– Sua cognata?
– Sì. L’ho sentita urlare. Sentivo anche altre voci e una sirena, ma non so bene quando. Valeria mi ha portata in casa.
– Lo sappiamo. E’ stata con lei per un po’, fino all’arrivo di suo cognato. Più o meno.
Ci fu un altro lungo silenzio.
– Signora Conti, francamente non pensavo che saremmo riusciti ad arrivare a tanto. Apprezzo i suoi sforzi. Ho qualche altra domanda, non troppo piacevole temo. Quando si è resa conto di non riuscire a parlare?
– Non so. Inizialmente ho pensato che fosse pigrizia, poi una sensazione di totale inutilità. Parlare era inutile. Successivamente mi sono resa conto che qualcosa non andava perché non sono riuscita a tirare fuori la voce nonostante alcuni tentativi.
– Posso chiederle cosa sia successo immediatamente prima che la voce ritornasse?
Qualcosa in lei si mosse, scoppiò a ridere e l’espressione incredula di Forti amplificò il prurito in gola.
– Perché ride?
– Perché ho ricominciato a parlare dopo avere litigato con mia cognata. Non so perché rido, ma mi sembra paradossale.
– Forse no. Quale è stato il motivo del litigio? In quale occasione l’ha incontrata?
– Non ho detto di averla incontrata!
– E’ vero. Ma non dimentichi che ho già parlato con la signora Valeria Conti. Ho l’impressione che sia una donna brutalmente sincera.
– Sincera? Quando vuole. Quindi se le ha già parlato lo sa. Perché chiede a me?
– Perché è importante.
– Valeria mi ha mostrato le prove della sua relazione con mio marito.
– Sapeva di questa relazione?
– L’ho saputo dopo la morte di Riccardo, in una lettera lasciata a un notaio.
Forti spostò qualche foglio sulla scrivania, Gianna notò la grafia del marito.
– Perfetto, l’ha letta quindi non devo raccontargliela. Almeno questo mi è risparmiato!
– Sono sinceramente dispiaciuto. Il contenuto di questa lettera deve essere stato difficile per lei.
– Umiliante, si dice così.
– Non credo che sia un’umiliazione, non per lei. Potremmo forse considerarle un’umiliazione pubblica per la signora Conti. Valeria Conti, intendo. Mi chiedo perché sia stato così pesante.
– Riccardo non calcolava la portata delle sue passioni.
– Questa non è una passione, è una lettera che ha inferto un colpo mortale a una famiglia intera. E stroncato i ricordi di una donna che l’ha amato. Due donne, per la verità. Insomma, ha sintetizzato qui tutto ciò che può fare male a chi si ama.
– Vero. Ha seminato dolore. Non è da lui. E con Valeria è stato ingiusto.
– Lo pensa sul serio?
– Il fatto che non sia la donna che preferisco non significa che le neghi il riconoscimento della dignità. Riccardo le ha fatto male, eppure si sono amati.
Forti tacque per qualche minuto, assorto. Poi sembrò risvegliarsi.
– Non aveva mai avuto sospetti?
– No.
– Ritiene che suo cognato sapesse di questa relazione prima della morte di suo marito?
– No.
– Ne è sicura?
– Ne sono sicura. Me l’avrebbe detto, se l’avesse saputo prima.
– Ha un ottimo rapporto con lui.
– Sì.
– L’ultima domanda e può andare. Ritiene che se suo cognato avesse saputo della relazione e della paternità della piccola Elena questo sarebbe stato un motivo di rottura con suo marito?
– Giuliano e Riccardo erano uniti. Non potevano fare a meno l’uno dell’altro. Giuliano soffre moltissimo, anche sapendo che Riccardo l’ha tradito come ha tradito me. Forse peggio.
Forti sorrise e le tese la mano.
– Mi aspettavo che lo difendesse. Sì, avete proprio un ottimo rapporto. Arrivederci signora. Grazie per la collaborazione.
© MariaGiovanna Luini, 2016