UN SACCO D’AMORE
“Musetto” mi chiama.
E in mille altri modi che smetto subito di ascoltare.
Sa che non lo sopporto.
Allora il muso glielo tengo davvero.
Ma lei non capisce. Insiste con tutto quello zucchero e rincara la dose.
Le moine dovrei farle io, mi pare.
“Amore” mi chiama. Amore di qua e amore di là. Un sacco d’amore.
La odio.
Perché non lo dice solo a me.
Non sono sordo.
Allora la ignoro. Me ne vado per giorni. Non chiamo.
Ho bisogno dei miei spazi.
Lei mi cerca. Ovunque.
La sua voce perde lo zucchero, riarsa di sale.
Urla il mio nome, il mio nome vero.
Questo mi serve.
Mi tranquillizza.
Torno. Non la degno di uno sguardo, però.
È un rapporto malato il nostro. Lo sappiamo entrambi.
Lei si prende l’affetto che le serve, le coccole, qualche mia giornata buona.
Io un tetto sulla testa. Un posto dove tornare. Se mi va.
Lei mi adora. A che prezzo.
La mia libertà. La mia natura. Il mio istinto.
Vuole che mi strusci un po’, come fanno gli altri.
No, grazie.
Mi tengo la dignità che mi resta.
Se solo fossi stato diverso, non avrebbe osato.
Se avessi avuto la natura dei miei simili – quelli che le vegetariane come lei se le mangiano a bocconi grossi – avrebbe visto la corona del re, l’artiglieria pesante, non questi unghioli deboli che mi faccio sul suo divano.
La prossima volta, sarò io l’uomo e lei la gatta.
Poi ne riparliamo dal veterinario.
© Anna Martinenghi, 2016