2 DICEMBRE 2015
La solitudine non si interessa di una immagine stereotipata. I soli, o meglio, coloro che vogliono starsene da parte, vogliono un po’ di silenzio. Mettere da parte le voci. Quelle degli altoparlanti che annunciano il ritardo al binario nove, quelle di una madre che invoglia il figlio a mangiare la minestra, quelle del manager sempre troppo all’erta col suo fare al telefonino.
In realtà, il silenzio è esso stesso voce e ha qualcosa da dire a chi lo sa ascoltare.
Questo dire è il mio di silenzio, a volte troppo presente. Non è nato per sbaglio da una madre puttana. Donna non lo sono, quindi il termine “madre” è inappropriato. Al massimo “padre” e tanto meno misericordioso.
Il silenzio è nato il primo dicembre di otto anni fa. Perché non riuscivo a parlare. Perché il senso della perdita era talmente forte da restate muto.
Ciò che sarebbe stato il nostro primo figlio svanì nell’arco di poche ore. Perché un figlio fin quando non lo tocchi, non lo hai davanti ai tuoi occhi, soprattutto se nei primi mesi di gestazione, resta un sogno che ti viene incontro. Il tempo ci ha in seguito aiutato a capire – forse – la reale causa.
Poi è arrivato il secondo. Ma di quel primo ne è rimasta l’idea incompiuta e resa semi-tangibile dalle note di una canzone. Quasi una risposta a quel silenzio…, fu la prima che ascoltai alla radio la mattina seguente. Perché dovevo comunque andare al lavoro, perché non puoi assentarti se il tuo caos interiore è ancora in atto e ti mette in subbuglio l’animo, te lo incendia dopo una grossa implosione. All’esterno sei ineccepibile, non mostri segni, solo la maschera che hai creato per stare al mondo, dietro le linee sul viso che ti hanno dato a corredo genetico i tuoi genitori.
Anche il nostro secondo figlio – il primo nato – aggrotta la fronte, avrà le stesse mie rughe, lo spero.
Di padre in figlio come nelle migliori storie bibliche.
Queste sono le riflessioni che mi prendono durante la notte del primo dicembre.
E il giorno dopo mi trovo in Stazione Centrale per prendere l’ennesimo Frecciarossa che mi porterà a Napoli.
E anche oggi mensa da Giggino. Lenticchie.
© Raffaele Rutigliano, 2015