
L’esigenza del degrado. Perché questo titolo?
Perché il destino del poeta è quello di un eterno deviante. “Esule sulla terra, fra grida di scherno, le sue ali da gigante gli impediscono di camminare”.
Lei dice che il poeta non sa far di conto e ha il carpe diem che gli scorre nelle vene. Vive alla giornata, in poche parole. Niente di esaltante.
Esatto, niente di esaltante. Sgraffigna un po’ qui e un po’ là. Può amministrare miseria e miliardi con la stessa disinvoltura.
Frequenta pendagli da forca e nobiluomini col medesimo distacco.
Ma perché il degrado? E soprattutto perché l’esigenza di questo degrado?
Quando parlo di degrado sto parlando di santità. Di fronte alla libertà del poeta il sistema s’inceppa, perde colpi, balbetta: sa d’avere un nemico da combattere.
Ma non sa esattamente come.
Bravo, vedo che ha capito. Sì, il poeta sa di essere solo un granello di polvere, questo è vero. Tuttavia, a volte, anche una piccola imperfezione può mettere in pericolo l’intero ingranaggio del potere.
E torniamo all’eterna devianza.
All’esigenza del degrado. Come forma di ribellione, dico.
Lei fa l’esempio di Villon.
Bravo, molte delle sue opere François Villon le ha scritte nel buio di una cella. Malfattore irridente e bardo ha creato i suoi capolavori mentre era in galera.
Lei sottolinea che fu arrestato quattro volte per quelli che oggi chiameremmo “comportamenti violenti”. Sembra la trama di un romanzo.
Ma non lo è. Come dico sempre, si fa presto a dire maledetti. È – le annuncio – questo è il titolo che darò al mio prossimo libro.
Bello: si fa presto a dire maledetti. Ma torniamo a Villon.
Capisco, perché la affascina tanto. A ventiquattro anni, Villon, dopo aver ucciso un prete durante una rissa, venne perfino condannato a morte.
Riuscì a salvarsi?
Sì, ma per quanto? Passa qualche anno e dopo l’ennesima zuffa cruenta in cui rimane coinvolto, viene nuovamente condannato all’impiccagione. Va via da Parigi. Scappa. Ha 31 anni. È l’8 gennaio del 1463. Di lui non si avranno più notizie.
©Davide Marchetta