Quando la porta si spalanca, un refolo gelato raggiunge il vecchio al collo. Subito scatta seduto sul letto, le mani ad artiglio sulla coperta rattoppata.
– Chi è?
Spalanca gli occhi spenti verso lo scalpiccio e quell’odore di cuoio bagnato. Prima che la porta si richiuda, fa in tempo a cogliere lo scampanio della messa di Natale giù in paese. Al secondo chi è? risponde il respiro pesante di qualcuno che ha arrancato nella neve alta. Allora inizia a muovere le dita rugose, adagio, fin sotto il cuscino. È arrivato a sfiorare il freddo della pistola, quando una mano gli blocca il polso.
– Non ti agitare, sono io.
– Io chi? Chi sei? Come hai fatto a entrare?
– Non hai mai cambiato la serratura, vero? Sempre stato tirchio. D’altra parte, pensavi che fossi morto, no?
– T-tu? Ma come…
– Come ho fatto a scamparla, vuoi dire? Il caso, e un po’ di fortuna. Non certo per merito tuo.
– M-ma io…
– Risparmiami le solite palle, vuoi? Almeno questo, dopo cinque anni, eh?
– Ma erano…
– Ah, te lo ricordi. Sì, erano sette. Diciamo che mi sono preso un permesso speciale. Sono tornato a casa per Natale. Per farti gli auguri.
La risata rauca finisce in una tosse convulsa. Il vecchio inizia a tremare e si rattrappisce contro il muro macchiato di muffa, il lenzuolo grigiastro tirato sul petto.
– Sai, era piuttosto umido là dove stavo. Non fa bene ai polmoni.
– C-cosa vuoi? Cosa sei venuto a fare?
– Te l’ho detto, a farti gli auguri. Mica avrai paura di me, no? Non ne hai motivo. Dopo tutto mica sei stato tu a dire agli sbirri dov’ero, no? E a dire dov’era Anna, con i soldi. Quando sono arrivati gli sbirri Anna è caduta dal balcone e i soldi sono spariti, lo sai? Strano, vero?
Si avvicina a sfiorare il naso del vecchio, fino al puzzo di paura e sudore stantio.
– Vero?
La voce è bassa e sottile come il fruscio di una lama.
Il tremito del vecchio si fa più violento. Cerca di allontanarsi, si spalma contro la parete, le dita a tormentare il lenzuolo stropicciato, una bava sottile all’angolo della bocca.
– N-non farmi del male. Per favore. Sono malato.
– Sono malato anch’io, come hai sentito. Non ne avrò per molto. E se è per questo tu eri già malato allora. Ero io che ti portavo in bagno in braccio, che ti facevo da mangiare, che ti lavavo, ti ricordi? Tutti i giorni, da quando mamma se n’era andata. E adesso, come fai?
– Mi arrangio.
Gli occhi per un momento si illuminano, come se davvero potessero vedere.
– Viene qualcuno ad aiutarmi. Anzi…
– Se stai parlando di Alda, la figlia del fornaio, è stata molto contenta di non dover venire su con questa neve. Le ho detto che ti facevo una sorpresa. E mi sa che te l’ho fatta, eh?
– N-non farmi del male.
– Non piagnucolare. Ti ho fatto gli auguri e adesso me ne vado come sono venuto.
Lascia scorrere gli occhi nella stanza semibuia, sui piatti sporchi nell’angolo del tavolo, sulla tovaglia di plastica a fiori scoloriti, sulla lampadina nuda lorda di polvere e cacche di mosca. Sospira.
– In gabbia succedono tante cose, sai. E nessuna simpatica. Tanti vanno fuori di testa. E quando li fanno uscire non sanno più dove sono e cosa fanno. Magari uno esce di casa e dimentica la porta aperta. Certo, qui sarebbe un bel guaio. Siamo a meno sedici, oggi. E Alda non viene fino a domani.
Il vecchio si morde le labbra per fermare il tremito. La voce gli esce strozzata.
– N-no, ti prego, io…
Cerca di spostarsi sul letto, riesce a scoprire a metà le gambe scheletriche, poi ricade sul fianco, ansimando.
La porta si spalanca sul buio, toccando la parete con un toc sonoro. L’uomo controlla che resti aperta e lancia un’ultima occhiata verso il letto, alle unghie dei piedi giallastre, alle braccia tese come rami secchi, alle dita sformate.
– Ciao, nonno. Buon Natale.
© Euro Carello, 2024