Du’ gocce

Image: mozlase__

Sono una che non piange mai per un’emozione. Di dolore sì, quello fisico, come mi pungi con un ago mi butto sotto un tavolo e invoco pietà. Ho la soglia del dolore di un ustionato, costantemente terrorizzata all’idea che qualcuno possa infierire su di me. Però non mi commuovo, se non in rarissimi casi certificati: quando guardo Dirty Dancing e L’uomo dei sogni, quando leggo il passaggio sulla morte di Edwige nell’ultimo libro della saga di Harry Potter e quando rivedo gli spot pubblicitari degli anni ’80 su Facebook.
Ho la siccità negli occhi.
Mia madre detesta questa cosa e so di esserle antipatica perché non riesco a dolermi per i suoi mali, dei quali mi fornisce una lista aggiornata ogni volta che ci sentiamo al telefono. Di queste patologie io sono il booster, quell’enzima che amplifica il mal di testa e lo rende cronico, il batterio resistente all’antibiotico, il virus che non puoi sconfiggere perché muta ogni stagione. Io sono Male mentre mia sorella Mariarita è Luce. Lei sì, sa piangere, ed è un’arte della quale fa un abuso pornografico.
Mammina mammetta mammuccia e tutte le declinazioni possibili, lei le canticchia con tono mellifluo, la Signora di Mordor, un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nel buio
incatenarli.
Io non ci riesco, non so stare al gioco, i miei occhi cominciano a roteare contro la mia volontà e i polmoni si riempiono d’aria, lo sbuffo esce da solo mentre mi è impossibile trattenere ciò che penso
davvero. Lo freno, faccio in tempo a camuffarlo un po’, vorrei cantilenare come mia sorella ma non ce la faccio e quindi aggiusto con un pizzico di maquillage, tipo, va bene, dai, non è una cosa grave… Ma l’atteggiamento freddo di lei mi comunica immediatamente il senso di stizza nei confronti di una figlia
indesiderabile, che non sa neanche comunicare angoscia e partecipazione come si conviene.
Parla biascicando le parole, come se si fosse appena svegliata, cerca di comunicarmi l’idea di essere in debito d’ossigeno, perché ti devo sempre dire tutto io?
-Pensaci bene, io sono…
-Anziana.
-Di più, io sono…
-Anziana, ma di quelle stanche.
-Mettici un po’ d’impegno, io sono…
-Anziana e stanca e malata, molto malata, gravemente malata, mi stupisco che tu sia ancora in vita. In effetti desti molta preoccupazione.
-Sono “cardiopatica”! E te lo devi sempre ricordare. Perché ogni volta che mi crei un dispiacere, mi contraddici, non obbedisci ai miei capricci, mi pianti un chiodo nel cuore e io respiro sempre più
affannosamente, lo senti?
Lo sento. Sempre. Santiddio se ansima!
E mia sorella invece, quella empatica, lei sì che sa come ci si deve preoccupare. La Prefica dei vivi non si commuove con pudore, non irrora dolcemente le gote riscaldate dall’emozione, non socchiude le
palpebre su lucide pupille che galleggiano in una rugiada di lacrime, no. Essa esplode da zero a cento in due secondi e mezzo, capite?
Devi stare attento a spostarti dalla traiettoria dei suoi occhi perché espelle commozione come Venus (la comare di Mazinga) spara le tette. Diventa tutta rossa, un bambino che trattiene il fiato prima di
investirti con un tir di urla a ultrasuoni, il naso cresce e le occupa mezza faccia, la saliva si solidifica sicché, durante ogni tentativo di parlare, il pubblico resterà inorridito davanti allo spiegamento
filamentoso dei suoi singhiozzi. Non ci sono vie di mezzo, Mariarita o esprime al meglio la sua arte o non si esibisce affatto.

La mia sensibile sorella usava esercitare il suo dominio di primogenita ogni volta che i nostri genitori erano al lavoro o partivano da soli per un viaggio, tranquilli, tanto c’è la grande che bada alla piccola, è una gran cosa fare figli a distanza di quindici anni.
Ricordo i dispetti miei, gli oggetti a lei cari rubati e nascosti per vedere l’effetto che fa e le botte che mi investivano, il tonfo pieno della sua manona aperta sulle mie guance, udito prima che i nervi
comunicassero al cervello il dolore dell’impatto, perché quella lì, la sensibile, menava per far male, non si facevano prigionieri. Lo sapete voi che rumore fa una scudisciata sulla coscia? Io ricordo il rumore di ogni singola parte del mio corpo quando veniva percossa.
Secco, asciutto, è il braccio. Bello profondo, sarà il culo. Quasi senza vibrazioni, è la schiena. Ho la mappa uditiva di tutto il mio organismo.
Ma era la mia normalità, non me ne crucciavo affatto. Tornavano i miei genitori, tutto a posto? Tutto come sempre.
Io ero quella viziata, mia madre mi faceva fare il giro dei più rinomati specialisti dell’epoca ogni volta che mi trovava addosso segni ed ematomi, questa ragazzina si fa male troppo facilmente, deve essere un problema al sangue, le vene, la pelle, intolleranze, allergie, tumore? Si poteva sospettare che io cercassi attenzioni con quei segni addosso, dei quali tuttavia non mi lamentavo, perché anche quelli erano elementi della mia quotidianità.
Se accettiamo la narrazione della mamma, io ero coperta di attenzioni, sanitarie soprattutto. A parte le indagini specialistiche per quella mia peculiare facilità a coprirmi di lividi, ho pure subito diversi anni di trattamenti ortodontici per rendere i denti più dritti.
Una iattura che derivava dalla competizione tra mia madre e una ricca imprenditrice amica sua, che aveva una figlia della mia età.
Entrambe siamo state massacrate da orrendi apparecchi per i denti, quelli dell’epoca che ti uscivano dalla bocca e venivano trainati dietro la nuca. Poi le lezioni di pianoforte che fa molto soirée con
maggiordomo che serve champagne, anche se di servitù non ne avevamo. Lei palestra? Io palestra. Corso d’inglese, ti ho fregato, maldetta figlia della serva! Eccola qua, anche lei corso d’inglese.
Viaggio all’estero io, figurati lei che aveva la mamma straniera. Poi la ragazzina fu iscritta a un esclusivo college inglese con una retta che era il PIL italiano e allora niente, vaffanculo, set-game-match, se
Dio vuole hai vinto tu, mollatemi!
Ero un’ingrata, viziata, coccolata e avevo pure avuto un figlio. Mia sorella no, quella che lo avrebbe meritato e avrebbe saputo crescerlo come si deve non riuscì ad averne. Non era neanche un sotto testo
ma la sintesi di tante piccole allusioni, coerenti e ben espresse.
Come ti permetti tu di procreare, quando non sei neanche capace di fare la figlia? E Mariarita piangeva, piangeva. Non si può parlare di bambini davanti a lei, la fate soffrire. Nacque la formula “la povera
Mariarita”, e di ella non si poté più far menzione se non con il titolo nobiliare ben specificato per esteso: Mariarita della casata della Povertà. Ogni mia decisione come madre diventava degna di nota
all’interno della Guida Michelin dei Genitori di Merda, mentre, indovinate un po’ chi lo avrebbe fatto meglio? La Povera.
E mia madre reputò normale che “La Figlia sua, L’Amata”, presa in un turbinio di emozioni, perché lei era sensibile, mi sparasse addosso che quel figlio avrebbe dovuto averlo lei, Dio si era sbagliato, così
non era giusto.
Avrei dovuto visualizzare Jennifer Grey, pensare che nessuno mette Baby nell’angolo, e strizzarmi fuori qualche lacrima, ma come vi dicevo all’inizio non riesco a commuovermi neanche volendo. Feci
ciò che mi viene più naturale quando vengo offesa: mi incazzai come un bifolco ubriaco in una bettola e cominciai a inveire.
Dopo quasi trent’anni ancora mi si rinfacciano parole dette durante ogni singola discussione avuta quando ero ancora incinta, perché mia madre asserisce di non ricordare più i nomi delle persone, o le
cose che ha fatto due ore prima, perché forse sarà Alzheimer, o un tumore al cervello, cose gravi, terribili, ma è sempre in grado di scartabellare nell’archivio delle sue recriminazioni per dimostrarmi
quanto io sia manchevole nei suoi riguardi. Lei mi lascerà prematuramente (al momento ha ottant’anni), in parte a causa dei dispiaceri che le ho creato e mi sentirò in colpa per questo, ma sarà tardi.
L’Empatica invece le telefona sempre, si presenta a casa sua per festeggiare ogni sancavolo, mentre io detesto persino il mio compleanno e abolirei tutte le cene celebrative. Ma no, se non vieni rovini l’atmosfera alla Julie Andrews in Tutti insieme appassionatamente, non dai modo alla sorella brava di insolentirti con le sue allusioni sulla qualità delle tue scelte, non è giusto rovinare il divertimento agli altri e quindi sei l’assassina della tua genitrice, c’è un posto speciale per te nell’inferno di Freud.
Alla fine la malattia seria è venuta a me e mi sottopongo a terapie che mi creano varie difficoltà, dimentico facilmente le cose, mi sfuggono le parole e un paio di volte a settimana devo gestire queste
telefonate, la madre ottuagenaria che mi minaccia con il suo fiato corto e manco la capacità di piangere.
Per lei, mica per me.

©Ale Ortica

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