Emidio Acciugoni

Posta in arrivo.
Sorrido nello scorgere il mittente; doppio click del mouse e la bustina si apre sotto i miei occhi: Mio carissimo Chuck.
Compiaciuto, leggo il breve messaggio.
Compiaciuto, smisto la lettera nella cartella Dona Flor, da anni la più fedele e tenace delle mie lettrici.
Alta, sdutta, chioma corvina e fianchi svelti. Conosco quasi a memoria le decine di foto che mi ha inviato nel corso di questi quattro anni di conoscenza virtuale: dona Flor al mare, dona Flor a Parigi, dona Flor imbronciata ai bordi del letto che mi guarda con adorante malizia.
Donne.
Senza perdere il sorriso, sbircio l’orologio da parete sopra la mia testa.
Ho ancora una decina di minuti prima di iniziare il turno.
Fare il portantino all’ospedale è un lavoro duro, ma gratificante, anche se ci sono momenti in cui l’odore dei disinfettanti e le espressioni attonite e dolenti dei malati mi provocano una sorta di vertigine intensa e dolciastra.
C’è da avere pazienza. Con i malati e con i loro parenti. Con i medici e con le infermiere.
Ma alla fine si viene ricompensati.
Con le mance di Natale mi sono comperato questo tablet che pesa poco più di niente e che mi porto al lavoro, per farmi compagnia nei momenti di pausa.
Certo, nulla a che vedere con certi gioiellini della tecnologia di cui Chuck fa uso regolare, ma la vita insegna ad accontentarsi ed io, del mio tablet, mi accontento.
È che io faccio il portantino, mica il project and service manager come Chuck.
Che poi, Chuck sarei io.
Chuck Palahniuk.
No, non lo scrittore.
Il service and project manager di un’importante società software.
Milanese, sportivo, di sinistra.
Colto e fascinoso.
Tenebroso.
Misterioso.
Il mio eteronimo nel web.
E non mi si venga a raccontare che è da psichiatria chi si inventa un’identità virtuale nel web. Io non mi invento proprio nulla.
Chuck Palahniuk sono io. Miei sono i suoi pensieri profondi. Mio il suo sarcasmo sottile, mia la sua ironia vincente, mie le sue scelte musicali e letterarie raffinate, miei i suoi post che incantano le lettrici del blog, da anni innamorate di un mistero.
Un blog piccolo ma ben frequentato, il mio.
Qualche lettore maschio con cui scambiare virtuali pacche sulle spalle e strizzate d’occhi ammiccanti, di chi la sa lunga sul mondo e sulla vita e, insomma, su tutto quel che c’è da sapere.
E diverse lettrici femmine: intelligenti, colte, eleganti.
Adoranti.
Inarrivabile la mia abilità nel far intuire e mai capire veramente.
Perché le persone non hanno bisogno di vedere, di vedere con gli occhi e di toccare con mano.
Le persone hanno bisogno di immaginare.
Le persone (le donne) hanno bisogno di un sogno.
Certo mi sono occorsi alcuni accorgimenti: mai una foto. Mai riferimenti troppo personali e troppo precisi.
Mai il mio nome.
Incontri, solo con pochi fidati. Di norma, uomini.
Altri Chuck Palahniuk del web con cui condividere un sorso di Zacapa Centenario XO e una boccata di Partagàs.
Schiaccio la cicca di nazionale nel posacenere e controllo l’orologio. Ci siamo.
Faccio per spegnere il mio tablet quando il programma di posta mi avverte di un nuovo messaggio.
Preparo le labbra a un sorriso compiaciuto, ma come scorgo il mittente la bocca mi si piega in una smorfia perplessa.
Lei? Che cosa ci fa lei nella mia casella di posta?
Teresa Batista (stanca di guerra).
Frequentata – poco – nei primi anni del blog, definitivamente slinkata quando mi ero accorto di quanto becera fosse.
Grezza, sboccata, arrogante e snob (ma non nella maniera giusta e cioè la mia).
Indiscutibilmente: un cesso.
E quindi, non ammessa a corte, ça va sans dire.
Una sciocca provinciale con uno sciocco blog personale, zeppo di luoghi comuni e banalità.
Roba da sciampiste, insomma.
E che cosa ci fa lei ora nella mia casella di posta?
Clicco due volte sulla mail e mi si apre una foto.
Una mia foto.
Cioè una foto di me, di me stesso medesimo mentre esco dal lavoro.
Giaccone un po’ tirato sulla pancetta, residui di capelli sollevati da un improvviso colpo d’aria.
Io.
E sotto, cinque parole e un punto esclamativo: Buon Natale, caro Emidio Acciugoni!

©Viviana Gabrini, 2015 (tratto da I fili di Arianna, Primula Editore)
©Immagine Pixabay

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