Ultimo appello

«Ma guarda chi è tornato a casa giusto in tempo per un assaggio di torta…»
«Ma guarda chi mi ritrovo tra le braccia dopo una giornata in ufficio! Ciao bellezza, tu e le ragazze avete avuto le mani in pasta, eh?»
Giorgio abbracciò Roberta e assaggiò il pezzo di torta che gli stava offrendo. Mentre si toglieva il soprabito due mini-Roberta tra i dodici e i quattordici anni correvano a salutare il padre ridendo e
spintonandosi allegramente. Delle voci provenivano dalla cucina.
«Abbiamo ospiti?» chiese lui aggrottando le sopracciglia, «ma no, è un programma che stavamo ascoltando con le ragazze» rispose la donna mentre riponeva il soprabito.
Giorgio sembrava turbato «ancora quel radio-dramma? I contenuti non mi sembrano adatti a loro, ne avevamo già discusso.»
«Ma stai tranquillo, ho parlato con le bambine e ho spiegato loro che si tratta di finzione e comunque ci sono anch’io, se dovessero sentirsi turbate posso sempre intervenire.»
«Sì tesoro, ma preferirei che certe cose le ascoltassi da sola, abbi pazienza.»
Si diresse nel suo studio, sistemò la valigetta sulla scrivania e tirò fuori alcuni documenti da ricontrollare prima di cena. Indugiò per un istante, tirò fuori una chiave e la utilizzò per aprire un cassetto dal quale estrasse un’agenda e si incupì. Accese il dispositivo già sintonizzato sul suo appuntamento serale e attese l’inizio.
Musica jazz, una voce che annunciava i brani, intanto lui appuntava suoi pensieri nell’agenda.

“Viviamo come se fosse tutto normale, tutto è per sempre, non è buffo? Il lavoro, io che torno a casa, Roberta, le ragazze. Che gioia, la bellezza struggente di questo calore famigliare, solo adesso me ne rendo conto.”
«Interrompiamo il nostro programma di musica leggera per darvi lettura di un comunicato della IRNews…»
Giorgio si bloccò e ascoltò con la massima attenzione.
Roberta preparava la cena, leggeva continuamente i suoi appunti con tutti gli ingredienti e le sue note con i trucchi per migliorare il sapore delle pietanze, il grembiule stretto in vita e il canovaccio sulla
spalla, come in quelle belle illustrazioni nei libri per ragazzi, dove una mamma è sempre ben organizzata in cucina.
Le ragazze erano sedute a tavola e ascoltavano “Ultimo Appello”.
C’era quella ragazzina, Enrica, che aveva quindici anni e aveva ucciso la madre e la sorellina di cinque, una cosa tremenda. Il padre l’aveva perdonata e non la abbandonava perché era pur sempre sua
figlia. In ogni puntata usciva fuori qualche indizio sui motivi che avevano spinto la protagonista a compiere il duplice delitto, anche grazie all’aiuto di una terapista che parlava spesso con la giovane
assassina.
«Mamma ma non si sente bene quello che dicono, si può alzare il volume?»
«Temo di no, tesoro. Vedrai che tra poco smetteranno di bisbigliare.»
«Ma io non ho capito cos’è la co… cocca… caccolina… coccoina?»
La mamma si avvicinò rapidamente alle ragazze «guai a voi se dite una cosa del genere davanti a vostro padre, mi sono spiegata? Ha detto “cocaina” ed è una cosa brutta, sporca, estremamente pericolosa che mette nei guai le brave persone. Questo è… beh, questo è tutto.»
La sorella maggiore lanciò un’occhiataccia che investì la più piccola come un treno, seguirono pizzicotti nascosti sotto il tavolo e piccole scaramucce alle quali Roberta non fece attenzione perché nel
frattempo Enrica aveva cominciato a confessare le sue preoccupazioni al padre.

Due settimane prima, in Ultimo Appello c’era stata una storia che aveva creato un po’ di trambusto in casa. Un padre aveva rapito la sua bambina di due anni dopo aver litigato furiosamente con la
moglie e l’aveva portata via, nascosta chissà dove, poi era tornato a casa da solo e non si ricordava più dove aveva lasciato la piccola.
Quando è stato arrestato nessuno lo aveva perdonato, parenti, amici, persino i vicini di casa parlavano con lui o urlavano per fargli dire dove aveva lasciato la bambina. Ascoltando quei dialoghi, le
figlie di Roberta si erano molto impressionate e una notte la piccola si era svegliata urlando e asserendo di aver sentito il pianto di una creatura. Una situazione davvero imbarazzante che si concluse
senza ulteriori drammi perché nessuno confessò a Giorgio quale fosse il motivo di tanto turbamento e lui non conosceva esattamente i temi trattati da quella trasmissione, essendo il pomeriggio in ufficio.
Passavano i giorni, il pomeriggio le donne di casa seguivano appassionatamente il loro radio-dramma, si scambiavano opinioni sulle ultime scoperte e anche la stampa riportava ossessivamente
frammenti di quel programma, tutta l’Italia seguiva col fiato sospeso le vicende di Enrica che pare si fosse pure fidanzata in carcere, aveva ricevuto delle lettere da un certo giovanotto, ancora non si
erano visti, poi il padre parlava di un sacerdote che forse le avrebbe dato un posto dove stare una volta uscita dal carcere, ma ancora non era stata emessa una condanna, tutto molto avvincente.
Le ragazze avevano preso l’abitudine di leggere il giornale che il papà portava a casa dal lavoro dichiarando di voler seguire la pagina dei fumetti, ma in realtà erano sempre alla ricerca di editoriali e
articoli su Enrica. Ne era rimaste tanto colpite perché poco più grande di loro, molto bella e andava bene a scuola. Erano sedotte dalla personalità di quella imperscrutabile creatura maledetta, non
potevano non chiedersi se quella follia scatenata in una coetanea così brava e tranquilla potesse albergare anche dentro di loro.
Interrogavano quindi la vita di Enrica per scrutare dentro la propria anima.

Giorgio tornava a casa ogni sera sorridente e abbracciava le sue ragazze come se fosse l’ultimo addio, poi si chiudeva nello studio per sbrigare del lavoro arretrato e accendeva Mondo Classico,
l’emittente che trasmetteva il più bel jazz di tutti i tempi. Restava in attesa, immobile, con la mano leggermente sollevata dai documenti e la penna stretta tra le dita. Restava in ascolto.
La musica si interrompeva e lo speaker leggeva alcuni comunicati.
Lui era atterrito. La prima sera aveva pensato di correre in cucina e avvisare la moglie, prendere le bambine e trascinare via la sua famiglia, lei avrebbe urlato, lui l’avrebbe strattonata e riportata alla
ragione, le valige, veloce, prendete solo lo stretto necessario, le lacrime delle bambine, lo strazio di non poter lenire quella paura, dove ci porti? Ecco, in un attimo aveva visualizzato tutto questo ed
era giunto a quell’epilogo angosciante: dove ci porti?
E allora aveva deciso di restare lì, ad ascoltare, metabolizzare e prese l’abitudine di scrivere sull’agenda tutti i suoi pensieri, disegnando distrattamente scarabocchi che inizialmente non avevano forme
riconoscibili, poi, pian piano diventavano volti femminili, occhi di bambina simili ai suoi, no, erano uguali alla nonna e poi raggi di sole e polvere di stelle, figure che si libravano in volo, libere, tra pianeti e
scie luminose. Siamo questo noi uomini, scriveva, cos’altro se non polvere di stelle?
“È caduto! L’entrata è scoperta! Attenti laggiù! State indietro!”
“Signore e signori, è la cosa più fantastica che si sia mai vista…”
Da quanto non si sentiva più il Jazz? Non c’era più tempo per la musica. Quel collegamento andava avanti da giorni e nessuno lo sapeva, neanche i giornali ne parlavano. Trasmissione clandestina?
Prese l’abitudine di assaggiare un po’ di brandy durante quelle sessioni di ascolto, un goccetto da una bottiglia nascosta nel cassetto, poi arrivarono le altre, che vennero consumate sempre più
voracemente.
«Mamma, stasera Enrica dirà al papà che vuole sposare Matteo? Secondo me lui fa un omicidio e si fa mettere in cella con lei» disse la più piccola, immediatamente ripresa dalla sorella «sei una caccola! Non lo sai che le celle sono solo per prigionieri dello stesso sesso? Vero ma’ che quelli sposati non vanno in cella insieme?»
Roberta non stava prestando attenzione ai battibecchi delle ragazze, era piuttosto preoccupata a causa del comportamento del marito che si era chiuso in quello studio due giorni prima ed era uscito solo
per andare in bagno. Avevano telefonato già diverse volte dall’ufficio e lei aveva dovuto mentire, asserendo che Giorgio era malato, aveva l’influenza.
«Calme ragazze, vado a portare la cena a papà.»
«Mamma, perché lasci il vassoio davanti alla porta? Papà non vuole più mangiare con noi?»
Avvertì improvvisamente un giramento di testa, le sembrava che le mancasse il respiro udendo quelle suppliche così dolenti «non preoccupatevi ragazze, papà ha solo un brutto raffreddore e non
vuole che vi ammaliate anche voi.»
Roberta si avvicinò alla porta che divideva il marito dalla vita, la gioia coniugale, l’amore delle figlie e tese l’orecchio in silenzio, trattenendo il respiro.
“… Troppo lungo… no… Non so, non si vede più nulla. Stanno emettendo del fumo.”
“Le macchine?”
“Sì, un fumo nero che sta venendo rapidamente da questa parte. Molto rapidamente. Raso terra…”
Non capiva cosa stesse ascoltando, in sottofondo un trambusto, sembrava venire proprio da un’attività del marito nella stanza e poi quella gente che si scambiava strani messaggi, come se usasse delle
trasmittenti. Cosa ci faceva Giorgio con delle trasmittenti nello studio?
Tentò di aprire piano la porta ma naturalmente era chiusa a chiave, come sempre da quando lui era diventato strano. Udì dall’interno «va via, lasciami stare.»
«Ti ho portato la cena, è qui… le ragazze…»
«Tienile lontane da qui. Guai a te se si avvicinano. Va via. Via!»

Passarono due settimane e Roberta aveva deciso di staccare il telefono per non dover più giustificare le assenze del marito dal lavoro. Usciva furtivamente di casa all’alba per fare le spese strettamente necessarie e evitare di incontrare i conoscenti che avrebbero potuto fare delle domande.
«Stasera Enrica ha un colloquio con uno psichiatra nuovo, la dottoressa Spruzzone l’ha mollata, capite? Secondo me non si può fare, non puoi lasciare i pazienti così.»
«Ma è stata Enrica a chiedere un altro psichiatra, non hai sentito ieri mentre lo diceva al padre? Non si fida di quella signora, sospetta che non era brava.»
Le ragazze avevano letto sul giornale che facevano comprare a Roberta che la dottoressa Spruzzone aveva trovato un ingaggio come figurante in un programma TV, dunque avevano ipotizzato
che quel cambio di sceneggiatura fosse dovuto a quei nuovi impegni lavorativi. «Vero ma’ che la signora adesso fa la psichiatra in un programma della televisione?»
«Mhm?
«La Spruzzone, ma’, stasera arriva lo psichiatra nuovo per Enrica, quell’altra va a fare un altro programma alla televisione, lo dice pure il giornale.»
«Sì, ehm, certo, ragazze adesso state tranquille a sentire il programma, io devo andare a parlare con papà.»
«Ma sta molto male, ha la febbre, non riesce a parlare, lo hai detto tu.»
«Sì, beh, con me si sforzerà di parlare. Voi state qui in cucina e non vi muovete.» disse dirigendosi con risolutezza versa la tana del marito.
Tra Roberta e Giorgio la barriera era ormai invalicabile, bussò, vattene ti ho detto, e bussò ancora, apri ti devo parlare, provò a strattonare la maniglia, a sbatterci contro i fianchi, all’interno un grande trambusto, apri o per l’amor di Dio, voglio sapere chi c’è lì dentro con te.
Click.

Appoggiò le mani sulla porta e la aprì con cautela, le si schiuse davanti agli occhi uno spicchio di paesaggio marziano, aria talmente rarefatta da togliere il fiato, un pulviscolo mefitico aleggiava
ovunque, la luce sembrava filtrare color senape dalla finestra chiusa.
Dopo qualche secondo di straniamento Roberta tornò a prestare attenzione anche agli sensi e venne quasi sbalzata all’indietro dal caos di voci e rumori che le erano esplose in faccia. Fece qualche
passo avanti e urlò «ma che succede? Da dove arrivano queste voci?»
Sembrava una eco di canti religiosi, una folla di persone spaventate.
I suoi occhi cercavano istericamente la provenienza di quel frastuono e alla fine identificarono nella nebbia del pulviscolo un apparecchio dalla forma strana che emetteva un frastuono infernale
fatto di voci e sirene, urla incomprensibili.
«Cos’è questo aggeggio? Che stai facendo qui dentro? Cosa…?»
«Sta venendo giù tutto, il mondo, capisci? Non c’è niente da fare, non c’è un luogo in cui fuggire, è semplicemente la fine.»
Lei guardava il marito e non riconosceva nulla di famigliare in quell’individuo curvo, trasandato, con gli occhi straziati dall’alcol che la osservavano come se fosse una preda. Voleva forse avventarsi su di
lei? Come un automa le afferrò il braccio e le sparò addosso un urlo «è tutto finito, il cielo ci cadrà addosso come un lampadario, lo capisci donna? Eh? Ti entra in quella testa?», intanto le picchiava un dito
sulla tempia provocandole un dolore lancinante che la rese cieca per qualche secondo, vide tutto viola e poi i pallini luminosi e alla fine riuscì a divincolarsi spingendo l’uomo verso la scrivania. Lui batté
un fianco e grido rabbioso si perse nella confusione di suoni e urla provenienti da Mondo Classico, poi si girò in un attimo e la afferrò immobilizzandola con i polsi dietro la schiena. Ora si sentiva un
aereo, sembrava molto vicino, come se dovesse atterrare nella stanza e un uomo parlava “Nel porto, navi di tutte le specie continuano a staccarsi dai moli, sovraccariche di fuggiaschi”.
Sirene di navi e fischi di rimorchiatori.
«Santo cielo! Cosa stiamo ascoltando?»

«Stiamo per morire tutti, lo capisci? Tutti, maledetta donna, tutti!» urlò lui a un centimetro dalla guancia di Roberta che respirava quel fiato orrendo fatto di digiuni, reflussi acidi e alcol ingollato come
acqua per spegnere un fuoco. La voce continuava “tutte le strade del centro sono irrimediabilmente ingorgate. Folle urlanti si stanno riversando da… Un momento… il nemico è in vista, sull’altra riva
del Hudson!”
Lei si divincolò cercando un contatto visivo «Cristo! Ha detto Hudson! Cosa diavolo stai ascoltando? Cosa c’entra con noi?»
«Tu non capisci mai niente, donna! Tu non sai, non leggi i giornali, non ti interessa la politica, non sai niente, piccolo cervello di gallina! È il mondo che sta per crollare, il cazzo di mondo, tutto intero!»
Da un angolo di mondo lontano milioni di anni si udì una vocina «l’Hudson è in America, papà?»
«Sofia, tesoro, non cominciare a cercare quel programma, non è roba adatta a te.»
«Mamma lo ascoltano tutti a scuola, persino la maestra ci ha parlato di Ultimo Appello, dice che è un modo per sapere cose che altrimenti non ce lo vogliono dire.»
«Ma chi non ci vuole dire… cosa?»
«Dice, beh, i comunisti, vogliono che gli assassini escano di galera per uccidere altre persone e…» cercava di riordinare le idee «e insomma, come se ostacolassero la giustizia e non vogliono farci sapere cosa dicono gli assassini quando li arrestano, perché certe prove le hai solo se li ascolti, capito? Ultimo Appello ci fa sentire tutte le intercettazioni registrate nella prigione, capito? Sono cose importanti.» impostò la voce «”il cittadino informato ha il diritto di emettere la propria sentenza”, dice la maestra. Però io sono solo curiosa di sapere cosa dicono i parenti quando vanno a trovare i delinquenti.»
La mamma la guardava perplessa «ha detto proprio “comunisti” la maestra? Oh mio Dio, Filippo, senti che dice tua figlia… la maestra parla di comunisti, devi sentire che storia!» urlò divertita raggiungendo il marito nell’altra stanza.

Sofia si rimise ad armeggiare col suo smartphone rosa passando il dito su tutte le applicazioni, Tik Tok, Facebook, Crea la tua Barbie, My Little Dog, e alla fine trovò ciò che cercava “My Tuner”, una directory di stazioni radio e podcast dove si poteva ascoltare anche il suo programma preferito, Ultimo Appello.
Questa settimana venivano trasmesse le intercettazioni delle visite che un’anziana donna faceva al figlio, un signore che aveva massacrato moglie e due ragazzine. Non era ancora emerso molto dalle prime cinque puntate perché lui continuava a farfugliare frasi poco sensate, ma dai frammenti di colloqui con lo psichiatra forense si era già capita una cosa fichissima, cioè quel matto era uscito di testa ascoltando un programma su una web radio che faceva solo roba vecchia, tipo giez o giaz o cosa e insomma, quello si era fulminato ascoltando una vecchia trasmissione americana tradotta in italiano, una cosa tipo “La guerra dei mondi”.

©Ale Ortica

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