La proposta musicale è No Place di RosGos e chiude una trilogia iniziata nel 2020. Non avendo più uno storico di riferimento mi sembra giusto riproporre al pubblico di Sdiario le caratteristiche e le tematiche dei primi due album.
Nel 2020 esce Lost In The Desert ed è un piccolo grande capolavoro intimo e intimista che si riallaccia, pur mantenendo una sua personalità, alla tradizione folk rock d’oltreoceano. Un album evocativo,
diretto e allo stesso tempo universale nell’affrontare le complesse dinamiche dell’animo umano:
penso all’eterea Sara, personaggio in cui ognuno può incarnare il suo amore, figlia o donna amata
poco importa; penso alla malinconica e, permettetemi anche l’aggettivo drammatica, 17 brano nel
quale si affronta il tema dell’adolescenza. Poche ed efficaci immagini offrono tanti spunti di
riflessione su un periodo della vita insidioso e che l’avvento della tecnologia e lo sgretolarsi del
sistema famiglia ha reso, decisamente, pericoloso. Le undici storie scorrono veloci e senza cadute di
tono e ciò ha fatto di Lost In The Desert uno degli album più belli di quell’anno e di conseguenza
ha creato molte aspettative per il successivo che notoriamente è quello più difficile.
L’attesa finisce nel 2022 con la pubblicazione di Circles ispirato all’Inferno dantesco (nel 2021 ricorreva il
settecentesimo anno della morte di Dante) e con l’uscita scemano anche tutti i timori: album bellissimo! Ispirato all’opera del poeta fiorentino, ma completamente diverso nell’approccio rispetto a quella che è l’idea di peccato e pena. I punti che accomunano la cantica e l’album formalmente sono essenzialmente tre: il viaggio, la solitudine e la voglia di comunicare delle anime.
L’idea di solitudine, e aggiungo anche quella dell’incomunicabilità, emergono chiaramente fin dall’approccio visivo all’album. La copertina, molto suggestiva nella sua tragicità, comunica la
piccolezza e la brevità dell’esistenza umana di fronte all’immensità della Natura. Ma se trasliamo
questo concetto nel figurato possiamo anche scorgere la difficoltà di ognuno nel superare da solo,
questa è una condanna, i propri limiti. Il viaggio è l’altro elemento comune, non avviene però in un
ipotetico oltretomba dominato da demoni e punizioni bensì nel mondo reale. I demoni ci sono,
ovviamente, ma albergano nell’anima di ognuno dei personaggi che l’autore incontra e, più in
generale, dentro ognuno di noi. Questa dualità fatta di reale e figurato l’ho ritrovata nell’iniziale
Limbo. Il brano dà inizio al viaggio e in esso mi piace intravvedere sia un luogo non luogo, nel
senso che può essere un luogo qualunque del mondo reale, ma anche uno stato, ovvero quel torpore
che non ci mette al centro del nostro mondo e ci impedisce di comunicare e conoscere veramente
chi abbiamo di fronte. I restanti otto brani hanno come titolo il nome del peccato e la voce del
peccatore che si racconta. Il senso della tragedia lo ritroviamo non solo nelle parole di chi parla ma
anche in chi ascolta. Maurizio Vaiani annulla, grazie ad un’attenta quanto eterea scrittura, i ruoli e
ci ricorda che nessuno nasce carnefice e che carnefice può diventare colui che pensa di detenere
presunte verità. Un gran bel messaggio se consideriamo i tempi che stiamo vivendo. Dal punto di vista musicale l’album lo possiamo inquadrare in quelle macro categorie che sono l’indie e la dark
wawe ma, come amo scrivere: sono solo categorie di massima. Rispetto a Lost in The Desert in
Circles l’elettronica e la chitarra si bilanciano e questo ha rappresentato un’evoluzione, prevedibile
ma non scontata, nello stile dell’artista.
Rinnovo i complimenti a Andrea Liuzza e alla sua Beautiful Losers per il contributo che dà alla
cultura musicale sia producendo artisti come RosGos, realtà ormai internazionale, sia attraverso i
podcast che si trovano su YouTube. La Musica è cultura e non ha una data di scadenza quindi se le
proposte e i video segnalati vi sono piaciuti fate vostri i cd. Adesso spazio alle immagini e alla
musica di Lust.
©Fortunato Mannino