– Hai sentito?
– No.
– Ce n’è stata un’altra.
– Io non ho sentito niente.
– Ho sentito una vibrazione.
– Io no.
– Davvero? Ah!
– Che c’è?
– La schiena. Anche se non mi muovo, continua a farmi male.
– Lo so. Cerca di non pensarci.
– Se almeno non fosse così buio. È terribile, al buio.
– Forse è meglio.
– Perché?
– Fa meno paura.
– Sai, io ho sempre avuto un po’ di paura del buio, fin da piccolo.
– Ce l’hanno tutti.
– Sì, forse è vero. Ma perché dici che fa meno paura?
– È come al mare. Sai quando nuoti e ti viene voglia di guardare sotto?
– E allora?
– Una volta, in Grecia, mi è capitato di nuotare sopra un relitto.
– Cosa c’entra?
– È che prima di accorgermene, ero tranquilla, mi facevo la mia nuotata e mi godevo il mare. Quando l’ho visto lì sotto, con quei buchi neri nella fiancata e sul ponte, quelle ringhiere piene di alghe che ondeggiavano alla corrente, mi è presa un’angoscia tremenda. Sono scappata via, nuotando più forte che potevo. Singhiozzavo dentro la maschera, ho rischiato di bere.
– E allora?
– Finché non vedevo non avevo paura. In superficie c’era il sole, l’acqua era di un bel blu.
– Vuoi dire che se non vedi non hai paura?
– Già.
– Forse hai ragione.
– Certo, che ho ragione.
– Sai, mi piacerebbe arrivare a darti la mano, se posso. Vedo se riesco ad allungarmi un po’. Ma c’è qualcosa che mi tiene imprigionate le gambe.
– Stai attento.
– Oddio, Claudia! Oddiodiodio…
– Cosa c’è? Non mi far spaventare.
– Non mi sento più le gambe.
– Ma no, è che ti si sono addormentati i muscoli.
– Davvero, non sento niente dalla vita in giù. Oddiomio!
– Stai tranquillo, poi ti passa.
– Sono paralizzato!
– Cerca di stare calmo. È solo l’effetto dell’immobilità, vedrai. Hai i muscoli atrofizzati.
– Sei sicura?
– Ma certo.
– Ma come fai a dirlo? Non sei mica un dottore.
– Aspetta, forse riesco ad arrivare a toccarti io. Devi essere molto vicino. Adesso mi allungo un po’ e… Ah!
– Claudia! Amore!
– Niente, non è niente, ho solo fatto un movimento sbagliato e la spalla…
– Puoi muoverla?
– N-no, non tanto, è bloccata da qualcosa. Forse l’armadio: mi sembra legno.
– Mi sa che è quello che ci ha salvato, l’armadio.
– Credo anch’io. Cadendo, ha fatto da protezione e creato questa nicchia.
– Ti fa molto male?
– Se sto ferma, no.
– Stavo pensando…
– Che cosa?
– Che in qualche modo ci deve essere un collegamento con l’esterno.
– Cosa vuoi dire?
– Se non ci fosse, saremmo già morti asfissiati. Non può essere solo una sacca d’aria.
– Hai ragione. Quindi è più facile che ce la facciamo.
– Lo pensi davvero?
– Certo.
– Claudia.
– Sì.
– Dici che ci trovano?
– Ma certo. Hanno i cani, e poi certi congegni speciali che sentono il calore.
– Che calore?
– Quello dei corpi.
– È un sacco di tempo che non sentiamo più rumori, però.
– Saranno stanchi anche loro. E poi, quando sentono qualcosa, fermano tutto per ascoltare, lo sai.
– E allora, perché hai smesso di battere?
– Sono un po’ stanca. Questo pezzo di cemento, o quello che è, pesa un casino.
– Anch’io sono stanco. Faccio fatica anche a parlare. Ho la gola secca e la bocca piena di polvere.
– Sì, anch’io. Magari adesso proviamo a riposarci un po’, poi ricomincio a battere. Adesso non ce la faccio.
– Claudia?
– Sì.
– Credo di essermi addormentato. Sono passate tante ore.
– Come fai a dirlo?
– Non so, è una sensazione. Tu non credi?
– Non lo so.
– Ti fa ancora male, la spalla?
– Un po’.
– A me la schiena fa tanto male. E le gambe non le sento più.
– Vedrai che ti passa, è solo colpa della posizione.
– Claudia.
– Sì.
– Mi piacerebbe sapere se è giorno o notte.
– Perché?
– Così, mi piacerebbe e basta.
– Paolo.
…
– Paolo!
…
– Paolo, cos’è questo rumore?
…
– Cosa c’é? Rispondi! Paolo!
– N-niente.
– Mi hai spaventata. Ma… stai piangendo?
– N-no. Sì. Scusa.
– Non devi scusarti. Anche a me è venuto da piangere, prima.
– Ma io sono un uomo.
– E che vuol dire?
– Dovrei essere io a…
– A, cosa?
– Niente. È che la schiena mi fa male da morire.
– Resisti. Ci troveranno, prima o poi.
– Non riesco a respirare. Tu sì?
– É la polvere. Non muoverti. Vedrai che piano piano si deposita e poi andrà meglio.
– Speriamo.
– Claudia.
– Sì.
– Volevo dirti una cosa.
– Dimmi.
– M-mi dispiace.
– Per che cosa?
– Lo sai.
– Non voglio parlarne.
– Non è stata una cosa importante. È che noi due in questi mesi eravamo così distanti, e lei…
– Ti ho detto che non voglio parlarne.
– È stata solo una storia di letto, amore, tre giorni. Tu non volevi più…
– Basta!
– Va bene. Però ti chiedo perdono. Mi perdoni?
…
– Claudia, mi perdoni?
…
– Oddio, Claudia! Ricomincia! Adesso l’hai sentita?
– Sì.
– È forte. La senti?
– Sì.
– Continua!
– Stai calmo. Dobbiamo cercare di stare calmi.
– Qui vibra tutto!
– Vedrai che adesso smette.
– Hai sentito? Si è smosso qualcosa, qui sopra!
– Stai tranquillo, sta smettendo.
– Non é vero, continua!
– Ascolta, dobbiamo tenere chiusa la bocca, così non ci entra la polvere.
– È sempre più forte! Trema tutto!
– Non preoccuparti, è solo una scossa di assestamento.
– Ah, la schiena! Claudia!
– Sono qui.
– Si muove! Mi stringe!
– Anche a me, mi schiaccia la spalla!
– Ah! La schie…
– Paolo! Stai bene? Pao…
– L’ha sentita, ingegnere?
– L’ho sentita sì.
– Secondo me, questa è stata forte. Forse la più forte, finora. Alla faccia delle scosse di assestamento.
– Già. Ha tirato giù quel poco che restava.
– Povera gente.
– Allora, che mi dice?
– Cosa vuole che le dica. Per me qui non c’è più nessuno. Vivo, voglio dire. Abbiamo fatto passare anche i cani, due volte.
– E non hanno trovato niente?
– No. A un certo punto sembrava di sentir battere, poi più niente. Falso allarme. Che facciamo, ingegnere?
– Va bene, lasciamo perdere. Spostate la ruspa più in giù, verso il municipio.
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