La notte la riempivo – come un panino – di cose che fanno male.
Di vecchie solitudini, per esempio. Ero un serpente che amava ignorare se stesso.
All’eternità, non avevo alcun interesse d’aggrapparmi. Il vento apriva una botola nel cielo stellato e ci spingeva dentro la mia mente. Mi arrabbiavo con me stesso perché sentivo che mi mancava qualcosa. Avrei voluto dormire e scrivere, scrivere e dormire. Ma bisognava vivere. E le fiamme alte delle lacrime del serpente bruciavano l’orribile vita. Se domani campo ancora – mi dicevo – non credo che farò qualcosa di tanto diverso rispetto a oggi. Dovevo essere superiore alla vita. Ma non avevo voglia di stare zitto.
Spezzavo il pane del mio tempo.
©Davide Marchetta