Niente, nessuno ha saputo darmi qualche indicazione.
Ma dov’è che devi andare?
Diciamo che. Vorrei raggiungere l’infinito.
Beh, è un po’ vaga come destinazione.
E tu credi che non lo sappia.
Con Cantor hai parlato?
Perché, tu credi che.
Non c’è nessuno che conosca l’infinito meglio di lui.
Non lo so. Una volta, ho incontrato Georg a una festa.
Ah, allora ci hai già parlato?
Sì. Abbiamo bevuto un paio di bicchieri insieme.
Allora sai già che ha dimostrato l’esistenza di infiniti di diversa grandezza?
Certo, certo. Mi ha fatto due palle così con questa storia.
Non l’infinito, ma gli infiniti concepiti come comunissimi numeri.
Bla bla bla.
Ma dai, Kurt. Ammetterai che è geniale.
Non lo metto in dubbio. Ma l’infinito che sto cercando io è tutt’altra cosa. O quanto meno, si trova da tutt’altra parte.
Insomma, non sei alla ricerca di un infinito misurabile: è così?
Esatto. Sto cercando un infinito che soddisfi appieno la mia volontà di essere bandito dalla vita. Un infinito raggiunto finalmente il quale posso praticare il mio sport preferito: il salto nel buio.
E con Cantor ne avete discusso?
Ma quando?
La sera della festa di cui mi stavi raccontando.
Ah, quella sera. No, lui ha cominciato a dare sfogo alle sue paranoie, sai. Ha cominciato a sproloquiare col suo solito tono allucinato. E siamo passati da Dio all’Infinito Assoluto. Roba da ricovero immediato.
E poi, com’è finita?
Niente, mi ha chiesto di presentargli Helga, la cugina della padrona di casa. Una mora, alta, con gli occhi blu.
©Davide Marchetta