Quando si tratta di recensire raccolte e tributi sono sempre titubante, perché l’operazione commerciale di basso livello è sempre in agguato. Per fortuna scrivo per passione e gli uffici stampa mi offrono sempre la possibilità di ascoltare solo album di grande spessore. Un grazie dunque a Stefano Dentice che mi ha proposto Amelia, album tributo all’immensa Joni Mitchell e firmato dai Martha J. & Chebat Quartet. Il 7 novembre la cantautrice canadese ha compiuto 80 anni, ma nonostante il tempo e una salute cagionevole continua ostinatamente le sue battaglie contro la mercificazione della musica e il maschilismo imperante in quel mondo e più in generale nella società, senza dimenticare le sue battaglie sociali.
È stata la prima donna a scrivere e a cantare le sue canzoni, ha attraversato le decadi più importanti della storia del rock rimanendo sempre fedele alla sua libertà espressiva e senza essere seconda a nessuno dei suoi colleghi maschi. Una libertà che l’ha vista raccontare il mondo dal punto di vista della donna spaziando dal folk al jazz. Una carriera in continua evoluzione e che ancora oggi offre spunti di riflessione. I Martha J. & Chebat Quartet infatti non si limitano a riproporre brani meno comuni della cantautrice canadese, ma nel reinterpretarli in chiave jazz li vestono di una nuova luce, sviluppando quell’idea di jazz già presente nei dischi di Joni Mitchell della seconda metà dei ’70 e che trova il suo apice nel celeberrimo Mingus del 1979. Amelia è una canzone simbolo e non è un caso che sia stata scelta come titolo dell’album. Il riferimento storico è all’aviatrice Amelia Earhart, prima donna a attraversare l’Atlantico nel 1932 e morta nel 1937 inabissandosi nell’Oceano Pacifico mentre tentava l’impresa di compiere il giro del mondo. Una figura che la morte ha cristallizzato in un eterno presente fatto di eroismo e tenacia ma anche di estrema solitudine, perché essere liberi significa comunque sacrificare qualcosa di sé. Nella versione originale infatti a dominare è il dissidio tra il voler essere liberi e il desiderio di un legame stabile: Amelia Earhart appare come un fantasma, ingannata da un sogno che l’ha inghiottita e annientata esattamente come la Mitchell che in quel momento vedeva schiantarsi il sogno di un amore. Un brano molto lungo e intimista nel quale le parole giocano un ruolo fondamentale a scapito di un ritmo e di una melodia che per quanto belle restano abbastanza uniformi.
Martha J. con la sua splendida voce mantiene l’aspetto intimo del brano ma lo spersonalizza universalizzandolo, il gruppo invece dà colori e armonie sempre cangianti ad ogni singola strofa. Il risultato è un piccolo grande capolavoro e lo stesso si può dire dei restanti dieci pezzi dell’album. Reinterpretare nella mia personale visione significa dare una linfa a un brano senza stravolgerne il senso originario ed è quello che sono riusciti a fare i Martha J. & Chebat Quartet: un jazz raffinato ed elegante, mai sopra le righe che s’innesta in un percorso pensato e già tracciato dall’artista. Ma un album come Amelia non è importante solo perché elegante o ripropone tematiche importanti ma risulta fondamentale in un tempo storico in cui sembra essersi persa nelle nuove generazioni la memoria dei grandi della musica, che con le loro opere hanno regalato poesia. E se il music business fa il suo interesse meno bene fanno i media ad assecondare il mercato, ma questa un’altra storia…
Adesso è il momento di abbandonarsi alla musica.
©Fortunato Mannino