Non ho fatto molto per conoscerlo. Mi sono limitato ad aspettarlo. O forse era lui che stava aspettando me. In effetti non so nemmeno se ci siamo mai incontrati. Nessuno ci ha mai presentati. Né lui ha cercato di venire da me. Ma per favore.
Mi sono limitato a subire la sua presenza. Ma sarebbe meglio parlare di assenza. Diciamocela tutta, per tutto questo tempo, io e lui abbiamo camminato fianco a fianco ignorandoci reciprocamente. Senza avere mai paura di smascherarci. Tanto sapevamo benissimo dell’esistenza dell’altro. E sapevamo benissimo
ignorarla. Non ci siamo mai parlati, questo sì. Abbiamo preso l’uno il posto dell’altro. Certe volte.
E quando qualcuno incontrava lui, forse sentiva che qualcosa non andava, che non era con me che si stava incontrando. Così come quelli che incontravano me, pensando di avere a che fare con lui, sembravano non accorgersi di niente.
La biforcazione di un’esistenza, spesso, appiattisce il ritmo della vita stessa. Ma, il più delle volte, ne esalta il respiro. Il battito cardiaco che hai dentro diventa talmente accelerato da travolgere tutto. È la vita vera,
quella che assapori. Quando accetti la competizione con l’altro che hai dentro, senti l’esplosione di un’incoscienza riempitiva, colmante, fosforescente. La scorgi nel buio, la distingui chiaramente nell’oscurità del quotidiano.
È come se ti vedessi nello specchio. Ma non sei tu. E sei certo che anche lui prova esattamente la stessa
nostalgia.
Stiamo viaggiando insieme. Da sempre. Siamo glistessi. Siamo la stessa persona. Ma siamo due.