Il viaggio nel teatro di Cechov non può iniziare senza mettere in valigia una scorta di come, la parola chiave dell’analogia, il mezzo necessario per scandagliare l’universo Cechov. Analogia è termine dell’anatomia comparata per indicare una relazione in cui vi è somiglianza di funzione ma non di origine. Le analogie ci mantengono nella modalità operativa e funzionale dell’immagine testuale, negli schemi delle similitudini senza prevedere per esse una comune origine.
Le analogie fanno emergere le connessioni tra immagini celate e archetipi, tra il presente e il passato; sono sempre molteplici, non si escludono mai a vicenda, mantengono presente l’immagine del testo, vivo e operante, consentono di ritornare al testo in ogni istante per rinfrescarne l’esperienza, al contrario delle interpretazioni che trasformano il testo in significato, letteralizzandolo. Sono convinto che se letteralizziamo Cechov se lo interpretiamo in un unico significato, rischiamo di perdere l’essenza delle sue parole. Mi piace immaginare di viaggiare nell’universo Cechov a cavallo delle analogie, perché consentono escursioni fuori strada, al di là delle vie asfaltate del pensiero razionalistico.
Con le analogie ci possiamo addentrare nella selva oscura per cercare di scorgere ombre nel buio, per cercare di cogliere un barlume nella figura che sta dietro le quinte, per cercare di intravedere che cos’altro avviene sotto le conversazioni apparentemente naturalistiche e semplici delle creature cechoviane. Quando parliamo di teatro dobbiamo ammettere che l’analisi scientifica tende ad impoverire, cristallizzare, essiccare, se non a divorare e strangolare il proprio oggetto, perché l’immagine poetica è per sua essenza variazionale, non – come i concetti – costitutiva. Nel teatro ciò che è troppo chiaro, non è più chiaro.
E molte sono le cose oscure nel teatro di Cechov. Sono oscure e lo rimarranno, anche a discapito di tutte le possibili indagini, perché il teatro di Cechov è fulgida oscurità.
©Matteo Tarasco