La vita non ci racconta storie

Le creature fuoriuscite dalla penna di Cechov vivono in un presente che è già avvenire, che a sua volta già rifluisce nel passato. È un futuro che non ha futuro, perché segnato da una morte in costante presenza. Nel teatro del tempo che Cechov ha delineato in ogni sua pièce non vi sono né passato né presente né futuro, ma solo una vasta, apparentemente disordinata, compresenza evocativa di tempi molteplici e incrociati, richiami, echi, presentimenti di una sovrana realtà in cui coscienza e ricordo, nostalgia e progetto, corporeità e stati psichici si fronteggiano, si mescolano e si fondono, tutto ciò appartiene al campo dell’eterno, cui non ci si può riferire senza commozione.

Cechov ha creato il tempo non come un orologiaio, bensì come uno psicologo: il tempo è soltanto il pensiero e la sensazione dei protagonisti. Nel teatro di Cechov il tempo ha imparato a recitare, è il vero protagonista che lega a sé le creature in una trama simbolica e invisibile che ne determina le azioni e i destini.
Mai nessuno prima di Cechov ha saputo trasformare il presente in puro luogo ideale in cui un passato fantastico e un futuro ipotetico labilmente si incontrano. Il teatro di Cechov rappresenta una sorta di epistrophé, un rivolgimento, una curva improvvisa nella storia del teatro, che converte alla pienezza di senso e dei sensi gli eventi accidentali dell’esistenza, offrendo un’idea capace di elevare dalla letteralità i fatti grezzi. Il teatro di Cechov descrive il senso della naturale transitorietà della vita umana, la maledizione e la bellezza del momento che passa: questa è azione nel senso più profondo, senso connotato dalla parola greca teatron.

E a chi pensa che il teatro di Cechov sia per questo motivo «senza azione», basterà ricordare che Anton Pavlovic, per primo, ha intuito che nella vita noi vediamo persone, non vediamo storie, e non ascoltiamo pensieri. Nella vita ciò che si svolge davanti ai nostri occhi non è una storia, ma una scena. Le scene che noi vediamo sono in relazione ad altre scene, che in sequenza, forse, possono suggerire una storia. È il fluire del tempo che crea sequenze ma queste collane di eventi intrecciati e susseguenti possono essere conosciute soltanto da coloro che le hanno vissute.

Ciò che uno spettatore può vedere sono semplicemente persone in vari stati di calma o di eccitazione, persone che mangiano, che parlano, che ridono. E proprio questo, e non di più, Cechov mette in scena. La storia deve essere dedotta dalle espressioni del viso, dalle parole, dai silenzi. L’azione, come la storia, risiede dentro i personaggi, motiva i loro comportamenti, ma certamente non è visibile perché la vita non ci racconta storie; è solo tempo che si sussegue nel tempo, disordinatamente.

© Matteo Tarasco

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