Brady e Genziana Forever
Caro Bradydiary,
il posto dove lavoro è collocato ai confini dell’impero, il che non gli impedisce di essere anch’esso risucchiato dal maelstrom dell’Expo. Oggi la metropolitana si è fermata alla prima delle sei stazioni che avevo davanti, e non ne ha voluto sapere di ripartire. Prima di catapultarmi a cercare un “mezzo sostitutivo” (uno si immagina skate, pattini, un calesse, i cavalli dei rodei, e anche così è comunque molto lontano dal prevedere le condizioni dell’autobus che lo aspetta), ho tentato di avvicinare il controllore, fermo in testa al binario. Probabilmente aveva una scimitarra nascosta dietro le spalle, perciò gli altri passeggeri hanno avuto paura di accostarlo. L’ho fatto io, sprezzante del pericolo e semplicemente ignara del rischio che stavo correndo. Una volta convinto della mia essenziale inoffensività, il controllore mi ha confidato che da lì il treno non si sarebbe più mosso, probabilmente fin dopo l’Expo, perché nello sforzo di costruire nuove linee, a quelle vecchie la manutenzione la fanno con la mano sinistra di un reduce di guerra che ha perso l’uso degli arti nell’esplosione di una mina.
Ero in ritardo. Terribilmente in ritardo. Qui a Milano, lo sai, chi si ferma è perduto, e se non corre, la vita gli sfugge. La mia teoria è che la vita corra meno dei milanesi, che l’hanno superata e non se ne sono accorti. Perciò continuano a sgambettare in un grande nulla grigio che hanno l’impressione sia una città, ma che in realtà non esiste.
Mentre mi arrampicavo su per le scale (la scala mobile era in riparazione in attesa dell’Expo, da alcuni mesi; dentro credo che ci campeggino i cassintegrati), coltivavo pensieri filosofici e mi studiavo di non farmi spalmare contro i muri dagli appiedati più frettolosi di me. Mi chiedevo se siamo davvero fatti della sostanza di cui son fatti i sogni o se banalmente quel che ci costituisce è puzza di cavolo e smog. Puoi capire che non ero di buonumore.
Alla fermata del sostitutivo c’erano forse 200 persone. Così ho camminato. Non sospettavo che la mia collega Genziana, nota e sofisticata zoccola dalle temporanee e folgoranti passioni, stava per raggiungermi. Era vestita come Rocco Siffredi sull’Isola dei Famosi – cioè quasi di niente, ma con meno stile – ed era ugualmente in forma nonostante gli incipienti 40 anni. Su sua istigazione, abbiamo continuato a marciare in direzione del luogo di lavoro, ancora lontanissimo, solo per evitare di strofinarci gli uni contro gli altri su un autobus sudato e troppo pieno.
Nel giro di un quarto d’ora, Genziana aveva finito di illustrarmi la sua visione della vita. Nel successivo quarto d’ora mi ha esposto la sua teoria degli affetti. Ma è quando ha cominciato a parlare del desiderio di maternità che la situazione si è fatta di indubbio interesse epistemologico. E’ cosa nota che Genziana conosca il colore delle mutande di tutti i maschi abili in ateneo, e anche di qualche disabile (pardon: lo so che non è corretto, ma mi riferiscono a disabilità solo di tipo erotico, di quelle che adesso ci fanno anche la pubblicità spiegandoti che se l’alzabandiera non ti riesce, non devi avvilirti). Per certi versi, il suo comportamento rappresenta una rivalsa seduttiva contro l’improbabile ancorché reale fascino dei componenti uomini del corpo docente, al quale pare che nessuno riesca a resistere. Genziana non solo non resiste, ma amministra la sua decenza con ecumenica generosità, assecondando la convinzione maschile che una donna come Genziana escluda l’uso del cervello da parte dei suoi utenti.
Posso dire con certezza, caro bradydiary, che trattasi convinzione del tutto falsa.
Genziana ha un’idea molto chiara della vita (la sua) e di come essa possa risolversi attraverso l’uso del corpo e del patrimonio (degli altri, meglio se uomini). Esaurita la fase entusiasta e giovanile dell’attività erotica, Genziana ha ora deciso cosa fare di se stessa. Escludendo la possibilità di farsi monaca, una possibilità incredibilmente accarezzata ma poi accantonata perché i tempi della monaca di Monza sono definitivamente transitati e mai usciti dall’universo narrativo manzoniano, ella ora desidera un figlio. Ma mica un figlio qualsiasi. Un figlio di padre ricchissimo, anziano, molto impegnato nel lavoro, straniero (così il bambino sarà bilingue) e non troppo interessato al sesso. Mentre io procedevo affannosamente, Genziana mi ha illustrato la sua teoria, rivelato che aveva identificato il “soggetto” (ha detto proprio così: il “soggetto”) e confidato con una certa sicurezza di essere sulla buona strada. In che senso, non saprei. Ma la cosa certa è che Suor Genziana è stata surclassata da Genziana Prenatal, che presto sarà una gloriosa “maman” straricca, in forma e di nuovo su piazza.
E la vuoi sapere una cosa, bradydiary? Ho scoperto di non sentirmi per niente scandalizzata. Questa è forse la frontiera più estrema di un femminismo, per così dire, individualista, capace di sparigliare uomini e donne insieme e di creare una nuova visione del mondo. Mentre procedevamo a passo di marcia, le ho chiesto. “Ma scusa, non ti annoierai quando il bambino sarà cresciuto? Metti che tuo marito … non so, non muore …”
Genziana mi ha guardato sbattendo le ciglia e tirandosi su una spallina del ridottissimo top. “Ma neanche per idea, mia cara. Mi vedi? Ti sembro una che possa rimanere inattiva? Il mondo è pieno di interessi!”
Realisticamente, credo che non si riferisse al tennis, alle serate in beneficenza o alla ricerca accademica. Ha sorriso, scoprendo denti bianchissimi. “Vedi, cara: un uomo ricco e potente è una multiproprietà che tutti vogliono abitare nello stesso momento. Ma io ho intenzione di comprare le quote degli altri. E una volta che sarò il capo assoluto, beh, potrò anche prendermi personale stipendiato”.
Ecco: personale stipendiato. Genziana for ever.
©Nicoletta Vallorani, 2015