Tu pensa
Tu pensa se fossi l’ultima.
Sei girata di schiena, seguo con lo sguardo il profilo del tuo corpo addormentato. Di solito riposo un po’ ma oggi mi è venuto questo pensiero e non mi fa dormire. Tu pensa se fossi l’ultima, è la domanda muta che ti faccio. A te che non puoi rispondere perché stai dormendo. Chissà cosa c’è, nei tuoi sogni. Un marito che ti pensava a casa e che sta guardando l’orologio, mentre aspetta il tuo rientro. Un figlio, un cane, dei biscotti sfornati ieri sera, un libro lasciato a metà. Dirai che hai fatto tardi dal parrucchiere. Che ti sei fermata alla galleria di un’amica e lì non c’era campo per il telefono. Non parlerai. Resterai un po’ scossa tutta la sera, andrai a letto presto dicendo che forse sta per venirti l’influenza.
Di te non so niente, come di nessuna. Solo che ti piacciono gli uomini alti, bruni e con la barba. Come me. Mi guardo nella penombra dello specchio, gonfio leggermente i pettorali. L’esame di chimica è tra un mese. Poi mi prenderò una vacanza.
E se fossi l’ultima? Se uscendo da qui mi investisse un’auto, se il mio cuore così sano e giovane smettesse di battere per una malformazione che nessuno ha mai visto. Se morissi per le scale, mentre scendo. Mi chiedo se sarebbe stato importante, quello che abbiamo fatto oggi insieme. Essere amato, aver amato. Non aver amato mai. Ho avuto solo dettagli, quando mi è importato qualcosa, molto tempo fa, e non ho desiderato che quelli. Erano lentiggini, pelle bianca e capelli ramati ma non li ricordo neanche più molto bene. Si sono perduti, confusi con i capelli biondo platino, con quelli neri, con sfumature, meches e segni di perizoma su abbronzature artificiali. Io vi soddisfo, voi ritornate. Ci tenete a farvi belle per me, chissà poi perché. Vi accetterei come siete, eppure fate di tutto per piacermi. Come donne avete bisogno di faticare, di migliorare, di andare verso qualcosa. Tendere alla felicità, forse.
La prima che ho avuto in questo modo mi chiama ancora e sono passati quattro anni. Andiamo a teatro, al ristorante. E’ bella, triste, appena sfiorita ma secondo me le dona. Un boccio neanche profuma, mentre in un fiore così viene voglia di metterci le mani dentro. Di stringerlo. Di farlo a pezzi, magari. Qualcuna vuole essere bendata, poi piange. Mi chiamate urlando con il nome del primo amore, con quello del prete, di vostro padre. E io fingo. Così ottenete tutto quello che volete. Finora è andata benissimo, ho tutto quello che mi serve. Abbiamo tutto quello che ci serve.
Poi stamani sul lavandino ho trovato una formica, l’ho schiacciata con un gesto istintivo e il pensiero di quella morte banale non mi ha più abbandonato.
Così mi chiedo cosa accadrebbe, se tu fossi l’ultima. Con il ventre appena gonfio, che mesi di palestra non sono riusciti a tendere come vorresti. Con un seno rimodellato alla perfezione ma ormai insensibile a qualsiasi bacio. Gambe che non sono più da minigonna. Unica, eppure uguale alle altre.
Esci appena dal tuo sogno, ti accorgi che mi sono alzato, che il nostro tempo sta per finire. Non dici niente, come è giusto che sia nel patto tra due onesti commercianti. Nascondi il viso nel cuscino, non vuoi vedermi mentre mi rivesto. Non vuoi che ti veda con il trucco sfatto. Con una mano indichi il tuo portafoglio, lasciato sul mio comodino. Neanche controlli, ti fidi.
Se fossi l’ultima, non avrei rimpianti.
© Roberta Lepri, 2015
Come formiche spaesate su fredde superfici…