BradyRunner
Caro Bradydiary,
così finalmente sono tornata. La buona notizia è che sono ancora tutta intera, il che non si sospetterebbe sapendo che ho viaggiato con una mia compagna di liceo che non vedevo da venticinque anni e che già allora aveva almeno sei valvole fuori posto in quel motorino mal congegnato del suo cervello. Ora di valvole non ce ne sono più: lei – la mia amica – dice che è colpa della menopausa se se ne sono andate. Neanche loro sopportavano di vederla invecchiare, e hanno scelto la libertà, lasciando la scatola cranica deserta di pensieri e preoccupazioni. La mia amica dice che ora si sente libera come non è mai stata. A quanto ricordo, alla mia amica non è mai interessata una beatissima cippa delle convenienze, e non mi risulta che avesse forme di schiavitù o dipendenza. Di sicuro, però, allora non le avevano dato la patente, e io vorrei conoscerlo il deficiente che l’ha autorizzata a guidare il veicolo nel quale mi ha trasportata a Milano, a una velocità che ho timore a ripetere perché anche solo a dirla temo di provocare un incidente. Per di più, ci sarebbe da capire perché ha comprato una macchina nella quale da seduta fatica ad arrivare al volante e dei cui segreti meccanismi è del tutto ignara. La cosa comunque non la preoccupa per nulla. La mia amica del liceo guida come un pilota di Formula Uno, ma su ogni tipo di strada invece che solo in pista. E se ne incippa di ogni cosa, essendo ricchissima e in menopausa.
Non so perché ho accettato il passaggio. Dopotutto, potevo permettermi di pagarmi il viaggio in treno. Credo che avessi voglia di fuggire dal Natale, e la mia amica Nuvolari mi consentiva di farlo in fretta. Per di più durante il viaggio ero talmente terrorizzata che non ho pensato per niente al Natale orrido che ho passato: come sempre, tutti i santi natali, tutte le sante festività, sempre la stessa famiglia.
Negli anni, il presepe si è ristretto (da 48 figuranti a 6, uno dei quali senza la gamba sinistra), il menù ha subito una deriva verso la cucina sperimentale indonesiana involontaria (ma la cuoca non sa di essersi orientalizzata invecchiando), l’abbigliamento degli invitati si è fatto sempre meno formale (dall’abito lungo al pigiamino, così chi cade addormentato viene traslato direttamente a letto, al grido di “Fuori uno!”), i regali sotto l’albero si sono striminziti (facciamo regali solo ai bambini: siccome il bambino più piccolo ha 18 anni, voilà, si risparmia tutti). E però la maledetta cena di famiglia della vigilia è sempre lì, minacciosa e ineludibile, un’ordalia della quale conserviamo gelosi documenti fotografici, per confrontarli ogni anno e vedere quanto siamo invecchiati.
Di solito, prima di cena mio padre, un artificiere dilettante novantenne, cerca di folgorarsi con la stella autofabbricata che appende al balcone, in faccia alle case popolari, i cui abitanti miscredenti e comunisti devono sapere che sta per arrivare il bambinello. Siccome non siamo consumisti, la stella non si compra, ma si crea, a partire dai refusi elettrici di un cinquantennio, assemblati con nastro isolante del discount (che non isola una cippa, ma al contrario è un conduttore prodigioso). Il cavo viene collegato dal balcone del terzo piano (al quale è legata una titanica stella fissata alle sbarre con pezzi di corde di vari colori) attraverso un sistema patchwork che farebbe innamorare Andy Warhol, a una presa in garage. Sulla struttura artistica elettrizzata che ne risulta, estesa su 3 piani, ogni tanto muore fulminato un piccione. Credo che i nostri vicini lo mangino in brodo, il 25, coi cappelletti tradizionali.
Intanto che sul balcone si consumano le ultime battute dell’allestimento Sons et Lumières, in cucina, mia madre frigge olive ascolane (per fortuna fatte da altri), frammenti di verdure varie coltivate in terrazzo, pezzi di polistirolo finiti per sbaglio in pastella, e alla fine affoga tutto nel succo di limone, perché “così il fritto è più digeribile”. L’altro alimento d’obbligo è il salmone, che viene acquistato 3 settimane prima “altrimenti in pescheria finisce”. I gamberetti (di plastica) in salsa rosa (proveniente dalla Corea) sono stati archiviati come troppo saporiti lo scorso anno, ma in compenso sono state aggiunte seppioline ripiene trapuntate di stuzzicadenti. Questi ultimi, essendo di marca Tokyo (l’anziana cuoca voleva comprare quelli Shangai, come avevamo consigliato noi figli, ma costavano troppo, e Tokyo poi non è dalle stesse parti?), tendono a frantumarsi, lasciando piccole schegge legnose nel ripieno, non semplicissime da digerire.
Ti confesso, caro bradydiary, che quest’anno ho cercato di ubriacarmi già durante l’antipasto, ma ho faticato un poco. Il vino era orrendo, nonostante l’etichetta sulle bottiglie lo vendesse come di gran pregio. Ero stupitissima. Al quinto bicchiere, l’anziano artificiere che aveva appena finito di allestire la stella e poi si era seduto a mangiare al mio fianco mi ha strizzato l’occhio e mi ha detto: “Non è buonissimo? Eh eh … ho preso quello nei cartoni del discount e l’ho messo nelle bottiglie con l’etichetta. Hai visto che non se n’è accorto nessuno?”. Il giorno dopo, avevamo tutti un mal di testa di dio, ma l’artificiere e la cuoca stavano benissimo. E hanno continuato a cavarsela magnificamente (pur lamentando una incoercibile vecchiaia), mentre noi giovani virgulti vomitavamo e bevevamo brodino per giorni.
Stavo appunto per scappare a vomitare, quando la mia amica Nuvolari mi ha detto che tornava a Milano e che aveva un posto in macchina. Confesso la mia viltà, Bradydiary. Confesso che ne avevo pieni gli zebedei, che è del tutto falso che la famiglia è un’istituzione insopprimibile, che non mi frega niente se sono crudele e degenere. Ho pensato che il peggio che poteva succedermi a salire in macchina con Nuvolari era finire spalmata sul cruscotto nel corso di un incidente mortale. E quando il pensiero mi ha indotto a battere festosamente le mani, ho capito che era meglio andare, altrimenti mi avrebbero presto ricoverato alla neuro.
Così, Bradidiary, credo che abbiamo evitato io e te di essere coinvolti nel classicissimo omicidio di Natale.
E anche per quest’anno è andata. Non azzardarti a farmi gli auguri.
©Nicoletta Vallorani, 2015