Brady e il Gattopardo
Caro bradydiary,
la vita è una partita di bocce gestita da un’idiota. L’idiota non è dio, come ci piacerebbe pensare, ma un assortimento di cloni arroganti dei simpatici e tragici svalvolati che popolano il manicomio di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Oggi ho partecipato a una partita a Monopoli dove tutti erano preoccupati di sistemare un albergo abusivo in una casella dove non poteva essere messo. E dichiaravano di farlo perché così era stato loro ordinato, da un Divino Capoclasse che ha stabilito le regole per poi, appunto, interpretarle: gli ordini del capo non si discutono. Penso che durante la prossima riunione decideremo di invadere la Siria armati di posate da dolce, se così ci verrà ordinato.
La norma va “capita”, si dice: solo che io son sempre quella che non la capisce.
Fedele alla mia incapacità diplomatica, ho fatto appello alle regole del gioco: abbiamo bisogno di norme d’azione, noi umani in sedi istituzionali, e anche per un temperamento anarchico come il mio, è complicato pensare che un gruppo in una sede ufficiale possa procedere in modi decisamente non ufficiali sostenendo che, parbleu, dobbiamo far funzionare le cose, e quindi chi se ne fotte delle regole.
Tu mi conosci, Bradydiary, e sai che posso essere inopportuna come nessuno mai, soprattutto quando si tratta di etica professionale. Forse è per questo che mi è stato detto di smetterla di fare la maniaca dei formalismi giuridici. Ci sono rimasta male, lo confesso, soprattutto quando mi è risultato impossibile far comprendere che non stavo smerigliando gli zebedei al mondo, ma solo richiamando i miei compagni di Monopoli a una elementare osservanza dei regolamenti del gioco. E’ stato molto sgradevole, e siccome non mi drogo, poi non ho potuto neanche impasticcarmi per assorbire il colpo. Forse dovrei bere: l’alcol è un conforto per i geni, come sapeva Bukovski, che genio assoluto era. Io sono Brady, invece, e di geniale non ho nulla. Però apparentemente ho un sacco di “amici”, che dopo che mi hanno scudisciato pubblicamente, mi hanno detto in privato che lo hanno fatto per il mio bene. Io, che appartengo a una famiglia che non mi ha mai picchiato, faccio un po’ fatica a comprendere come si possa imparare qualcosa dalle sberle. Però, sai, alla fine la storia ha insegnato che gli afroamericani hanno appreso l’educazione attraverso anni di schiavitù. Così dicono certuni, almeno, anche se io non condivido. Pensi che accadrà anche a me?
Volevo però rassicurarti: non ho demolito l’istituzione, anche perché sarebbe stato come sparare a un fantasma. E io non uso armi da fuoco né da taglio. Credo che, in una persona lenta come me, l’indignazione per essere stata maltrattata si manifesterà tra alcuni anni: così, quando andrò a mandare al diavolo quelli da cui mi sono sentita umiliata, nessuno ne capirà la ragione, cancellata dal tempo e dagli eventi.
Per ora, quel che faccio è rileggermi Tomasi di Lampedusa, osservare in televisione un tizio in camicia bianca che sciorina promesse a vanvera come prima aveva fatto un tizio vestito di blu, di orientamento politico nominalmente diverso, versare due lacrimucce sulla nostra innocenza perduta, e rivedere il DVD strepitoso in cui Nicholson fomenta la rivolta dei mattucchelli. Solo che io non sono Nicholson, e i mattucchelli con cui ho a che fare preferiscono restare servi, che ci guadagnano di più.
Per fortuna, dopo la riunione, sono andata dai miei 250 studenti stratificati in un’aula (a porte aperte, se no l’ossigeno finiva in 5 minuti), ho fatto una lezione sublime, e sono stata amata come nessuno mai, ricambiando con gratitudine quell’amore.
Quindi, caro bradydiary, è sempre un problema di prospettiva, e uno deve sapere quel che vale nella vita. Alla fine della lezione, un tipo un po’ agé e di origine tedesca, che per motivi a me del tutto oscuri frequenta le mie lezioni, mi ha detto: “Io pensa che lei è genio”. Certo, mi rendo conto: date le caratteristiche di questa frase in termini di sintassi italiana è probabile che il tipo non abbia capito nulla del mio discorso.
Ma mi piace pensare che fosse sincero.
E mentre ci penso, io, diversamente dai Gattopardi, vado a dormire tranquilla.
© Nicoletta Vallorani