Il pesce e la sua ombra
Ci sono zone morte nella memoria di ciascuno di noi, luoghi abitati dall’abitudine al silenzio, alla repressione dei desideri, alla fuga dalla realtà; luoghi in cui nessuno entra, nemmeno i nostri pensieri. Sono buche coperte da strati di minuti, ore, giorni. Fossi che saltiamo via, come atleti allenati da sempre a evitare gli ostacoli.
Per quanto si corra, però, le nostre zone morte rimangono l’ombra di ciò che avremmo voluto essere o dimenticare. Ci accompagnano perché siamo noi, dentro uno specchio nero.
Sono le parole che abbiamo pronunciato in giornate dal cielo terso e tagliente; o le parole che ci hanno riversato addosso mentre uscivamo sbattendo una porta. Sono tutti i passi che ci siamo dimenticati su vecchi scalini e lungo viali alberati di foglie verdi e turgide che non ne volevano sapere di cadere dai rami ché l’autunno era ancora lontano.
La mia zona morta è di certo il giorno in cui ho capito che qualcosa era cambiato per sempre ma non ho saputo raccontarlo e allora lei mi si è appiccicata addosso, infilandosi nelle mie storie, nei miei sogni, nei miei incubi, nei miei respiri.
E più fatico a respirare più lei si prende spazio, gocciola negli angoli della mia immaginazione e trasforma ogni sillaba in un suono rotto.
Vorrei credere che si dissolverà come una di quelle nuvole che amo tanto contemplare come quando ero bambina, ma so che non sarà così.
Non è mai così, né per me né per nessuno.
Qualunque storia leggeremo e scriveremo, la nostra zona morta la leggerà e scriverà con noi e sarà lei a rammentarsela perché come l’ombra del pesce che nuota nell’aria invece che nell’acqua, è l’unico paradosso possibile.
È la nostra vita dimenticata e viva, che ci sopravviverà, inconsapevole.
©Barbara Garlaschelli
trovo che questo post sia du splendente bellezza, amica mia
Anche tu lo sei, amica/sister.